Published On: Mar, Apr 28th, 2020

Origine e diffusione della Xylella in Italia

Sicuramente molti avranno sentito parlare della Xylella e delle gravi conseguenze che questo batterio causa alle piante di olivo. L’Olea europaea, conosciuta in tutto il mondo con il nome di olivo, è considerata tra le prime piante utilizzate dall’uomo per i suoi preziosissimi frutti che danno origine all’olio di oliva, definito appunto oro verde. La pianta molto probabilmente ha avuto origine nel sud-est asiatico per poi diffondersi in maniera omogenea su tutte le colline e aree pianeggianti che affacciano nel mar Mediterraneo.

In Italia oggi la pianta di olivo è diffusa quasi ovunque, ma è nel meridione che la sua presenza è considerevole. La regione Puglia è al primo posto in Italia per numero di piante coltivate e per quantità di olio di oliva prodotto. Ma da diversi anni gli alberi di olivo subiscono l’attacco incontrollato di un batterio conosciuto con il nome di Xylella fastidiosa, che ha causato molteplici danni a queste piantagioni, basti pensare che secondo una stima dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) nel periodo compreso tra il 2012 ed il 2017 oltre 6,5 milioni di ulivi sono stati distrutti nella sola Puglia, ed altri 100 mila vengono espiantati ogni anno per contrastare la diffusione di questa malattia.

Numeri davvero impressionanti, che hanno messo in ginocchio non solo tantissimi imprenditori agricoli, ma l’intera filiera olivicola-olearia italiana. 

Come dicevamo la causa di questa malattia è la Xylella fastidiosa, che rappresenta una delle molteplici specie di questo batterio. Il meccanismo di attacco è però simile per tutte le varietà del batterio: la Xylella attacca i vasi conduttori dello xylema delle piante ospiti e si moltiplica ostruendo i vasi che trasportano acqua e nutrienti dalle radici al fusto e fino alle foglie, creando una sorta di gel che impedisce il regolare flusso del fluido. Le piante infette seccano completamente.

Ma come è arrivato questo batterio e come si diffonde?

Secondo alcuni studi condotti dal CNR di Bari, si è ipotizzato che la Xylella sia arrivata importando una pianta già infetta. Nel 2010 infatti, è stato notato il primo focolaio di Xylella fastidiosa nei pressi di Gallipoli, zona in cui si trova un grosso vivaio che importa molteplici piante dall’estero. Nello specifico le analisi del DNA hanno trovato il cosiddetto paziente zero, causa di tutti i contagi, in una pianta di oleandro importato dal Costa Rica.

Philaenus spumarius

Ma per diffondersi, tutti i virus ed i batteri, hanno bisogno di un vettore, ed il colpevole in questo caso si è scoperto essere dei minuscoli insetti che sono:

  • Philaenus spumarius;
  • Philaenus italosignus;
  • Neophilaenus campestris.

Il maggior vettore è però il primo, cioè il Philaenus spumarius, conosciuto con il nome di “sputacchina” in quanto nella prima fase della sua vita, quella di neanidi, emette una sostanza schiumosa biancastra. La X. fastidiosa è diffusa dall’adulto dell’insetto che, spostandosi da pianta a pianta per nutrirsi, acquisisce il batterio dalle piante infette e lo trasmette alle piante sane, diffondendo così, ‘a macchia d’olio’ l’epidemia.

Campo infestato da neanidi di Philaenus spumarius

Quindi sicuramente cercando di individuare le infestazioni di questo insetto e limitare con delle tecniche colturali mirate (quali l’aratura e la  trinciatura delle piante su cui l’insetto si riproduce), equivarrebbe a ridurre drasticamente la diffusione della Xylella.

Altro passo in avanti fatto da ricercatori consiste nel trattare le piante infette con una tecnica che utilizza il freddo per uccidere la Xylella.

Infatti era risaputo che questi tipi di batteri non sopravvivono al freddo, ma la difficoltà maggiore è stata fin dall’inizio, trovare il sistema di come far arrivare il freddo all’interno delle piante, fin dentro ai vasi xylematici, senza causare danni irreparabili agli stessi alberi. Cosi nel 2017, la Sanitrix, una start up con sede a Milano, ha iniziato a sperimentare il sistema attraverso il quale sottoporre gli alberi d’ulivo ad un vero e proprio “stress termico”. La sperimentazione ancora in corso sembra dare buoni risultati, tanto che gli alberi, che prima del trattamento erano positivi al batterio della xylella, sono risultati negativi e dopo poche settimane hanno ricominciato a vegetare.

Oggi però sussistono dei dubbi nel mondo scientifico sulla reale efficacia di questo trattamento, e servirebbero ulteriori approfondimenti per verificare l’effettiva incisività di questo trattamento.

Il sistema, denominato “Sanisystem”, consiste di una maxi campana che ingloba l’albero facendo abbassare la temperatura all’interno della campana fino a -78,5°C e la temperatura interna all’albero a -5°C.

Vengono utilizzate anche l’anidride carbonica allo stato liquido e un antiparassitario biologico, ottenendo una microparcellizzazione a freddo, cioè cristalli di ghiaccio. Il passaggio del gas dallo stato liquido a quello solido produce una vera e propria “neve” che ricopre l’albero. L’antiparassitario biologico fa il resto. Esso è composto da estratti naturali di diverse radici, è innocuo sull’uomo e sugli insetti buoni, come le api e le coccinelle. È innocuo anche sui lombrichi, mentre uccide i funghi e i batteri.

Nella speranza che questo sistema venga verificato e produca gli effetti sperati, al momento, l’unica possibilità, oltre a quella di individuare e limitare la diffusione degli insetti vettori, è quella di trovare e isolare i focolai degli alberi infetti.

Fonti bibliografiche e fotografiche: CNR di Bari, www.efsa.europa.eu, Oss. di Regione Puglia, pixabay.com

About the Author

- E' laureato in Scienze e Tecnologie Agroforestali ed Ambientali. E' divulgatore di climatologia e meteorologia, ma non tralascia altre tematiche scientifiche. Si occupa di gestione del territorio e tutela ambientale e collabora al controllo ed al monitoraggio delle patologie in ambito Fitosanitario. Contatti: fabio.chipino@geomagazine.it