Published On: Mer, Mag 6th, 2020

Mascherine N95 “chirurgiche” e metodi di sterilizzazione a confronto

Durante l’attuale pandemia si è parlato tanto delle mascherine N95 (le ormai note mascherine chirurgiche). A causa della carenza di tale prodotto soprattutto per il personale sanitario si è reso necessario utilizzarlo più volte, obbligando a un lavaggio per il riutilizzo. Ora, la fase 2 obbliga i cittadini ad utilizzare le maschere specie in luoghi chiusi, per cui è necessario farne una buona scorta o cercare il metodo migliore per la sterilizzazione. I ricercatori hanno analizzato diversi metodi per disinfettarle, scoprendo che il calore ne preserva l’efficienza per 50 cicli.

Le mascherine chirurgiche contengono uno strato di fibre di polipropilene “soffiato a fusione” che forma una rete porosa e traspirante. Per aiutare a catturare particelle più piccole che potrebbero scivolare attraverso i fori, le fibre vengono caricate elettrostaticamente. I Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno raccomandato diversi metodi per disinfettare le maschere N95, come il calore, le radiazioni ultraviolette (UV) e il trattamento con candeggina, ma finora non sono stati ampiamente testati, in particolare per molteplici cicli di disinfezione. Yi Cui dell’American Chemical Society e colleghi, hanno voluto confrontare cinque dei metodi che potrebbero essere ragionevolmente utilizzati in ambito ospedaliero per vedere come i materiali delle maschere resistono alle ripetute disinfezioni.

In questo studio, invece di analizzare le maschere N95 – che dovrebbero essere riservate agli operatori sanitari – i ricercatori hanno esaminato pezzi del tessuto soffiato a fusione usato per realizzarle. Hanno trattato il materiale con un particolare disinfettante e confrontato la sua capacità di filtrare le particelle di aerosol (simili a goccioline respiratorie, ma prive di coronavirus) prima e dopo la disinfezione.

Il team ha scoperto che spruzzando il tessuto con una soluzione di candeggina con etanolo o cloro riduce drasticamente l’efficienza dopo un solo trattamento; dal 96% al 56% con etanolo e al 73% con candeggina. Meno drastico l’utilizzo del trattamento con vapore, che ne ha ridotto l’efficienza dopo 5 trattamenti. Un po’ meglio le radiazioni UV, che hanno permesso sino a 20 cicli di disinfezione, ma “capire l’esatta dose senza danneggiare i materiali potrebbe risultare abbastanza problematico“, spiegano i ricercatori.

Il miglior metodo di disinfezione sembra quindi essere l’alta temperatura. Ad esempio, il riscaldamento in forno a 85°C per 20 minuti (a patto di non poggiare la mascherina su materiali che conducono calore) ha permesso al tessuto di essere trattato 50 volte senza perdita di efficienza. E’ importante che il tessuto non entri in contatto con le parti metalliche del forno; la soluzione migliore in un forno domestico sarebbe quella di appenderla ad un supporto in legno. Ma attenzione, spesso indossare e rimuovere più volte maschere N95 potrebbe influire sulla vestibilità, il che influisce anche sulle prestazioni.

Bibliografia: https://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acsnano.0c03597

About the Author

- E' un giornalista scientifico, regolarmente iscritto all'albo nazionale. Si occupa di cronaca scientifica e duvulgazione dal 2011, anno di inizio del suo praticantato. Sin dal 2007 ha condotto numerosi studi sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica, alcuni dei quali in collaborazione con l'ArpaV.