Sole, ieri il brillamento più intenso dal 2017
Nella mattinata di ieri il Solar Dynamics Observatory della Nasa ha osservato una raffica di brillamenti, tra cui l’evento più forte da Ottobre 2017.
I brillamenti solari (in inglese Flare), sono gigantesche esplosioni che inviano energia, luce e particelle ad alta velocità nello spazio. Queste eruzioni sono spesso associate a tempeste magnetiche solari note come espulsioni di massa coronale (CME). Sono certamente i più comuni eventi solari, ma non gli unici: la nostra stella può anche emettere flussi di protoni molto veloci – noti come particelle solari energetiche (SEP) e disturbi del vento solare. Tutti questi fenomeni possono interferire, tra le altre cose, con le comunicazioni radio ad onde corte, con i segnali GPS e sulle reti elettriche terrestri e sono inoltre in grado di disturbare i satelliti presenti in orbita intorno al nostro pianeta.
La National Oceanic and Atmospheric Administration ha ideato categorie tra le tempeste varie; i brillamenti più intensi sono conosciuti come “brillamenti di classe X”, in un sistema di classificazione che divide i brillamenti solari in base alla loro forza. Quelli più piccoli sono invece di classe A, seguiti dalla classe B, C, M. Ogni lettera rappresenta un aumento di 10 volte della produzione di energia.
Quindi un evento di classe X è dieci volte più violento di uno di classe M e 100 volte più intenso rispetto alla classe C. All’interno di ciascuna classe, vi è una scala suddivisa da 1 a 9 che contraddistingue una sottosezione.
I brillamenti di classe C sono troppo deboli per influenzare in modo significativo il campo magnetico della Terra, quelli di classe M invece possono causare blackout radiofonici molto brevi ai poli e tempeste di radiazioni che potrebbero mettere in difficoltà gli astronauti nello spazio. I brillamenti di classe X invece sono di gran lunga le più grandi esplosioni del nostro sistema solare. Nei più grandi eventi, questi processi possono produrre tanta energia quanto un miliardo di bombe all’idrogeno. La Nasa e la NOAA, così come l’Afwa, mantengono una vigilanza costante per il monitoraggio di brillamenti e tempeste magnetiche associate. Attraverso i preavvisi infatti, molte tecnologie, tra cui i satelliti e i veicoli spaziali, possono essere protetti da conseguenze più gravi.
Il bagliore di ieri, prodotto da una regione attiva emergente, è stato di classe M1 non diretto verso la Terra. Nonostante non ci siano possibilità che le particelle cariche interagiscano con il nostro campo magnetico generando le aurore polari, si potrebbe trattare di un chiaro segnale di risveglio della nostra stella. “Dopo un minimo solare – fanno sapere i funzionari Nasa – ci vogliono almeno 6 mesi di osservazioni e il conteggio delle macchie solari per trarre conclusioni circa l’avvio di un nuovo ciclo“. Potrebbero volerci anche 6-12 mesi per verificare se il Sole sia già entrato nel ciclo 25, anche se la polarità magnetica lo identifica già come tale.