La tragedia mancata dietro il sorriso di “Valja”, la prima donna nello spazio
Appassionata di paracadutismo, dopo l’impresa di Gagarin Valentina Tereshkova voleva raggiungere il “sogno di gioventù”, divenire la prima donna nello spazio. Il 16 giugno 1963 ci riuscì, ecco la sua storia.
Nata vicino Yaroslav nel 1937, Valentina Tereshkova fu sin da giovane appassionata di paracadutismo, cominciando a far parte del club del volo locale e compiendo il suo primo lancio a soli 22 anni. Da allora, e fino all’impresa del 1963, compì ben 126 lanci, un elemento determinate per il programma spaziale. All’epoca infatti non c’erano molte donne pilota e la Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, autorizzò la selezione di cosmonaute donne sulla scia dell’entusiasmo per il volo della Vostok 1 con Yuri Gagarin, che nel 1961 divenne il primo essere umano nello spazio. Su oltre 400 partecipanti cinque donne passarono il test nel febbraio 1962, fra cui la Tereshkova, che non aveva avuto studi in merito ma aveva all’attivo numerosi lanci di paracadute.
Le donne si sottoposero ad un intenso addestramento per mesi e mesi, dal pilotaggio di aerei ai test di isolamento, infine all’inizio del mese di giugno del 1963 venne scelta la Tereshkova per il lancio sulla Vostok 6. Il lancio della capsula avvenne il 16 giugno, a due giorni di distanza dal lancio della Vostok 5, con il cosmonauta Valeri Bykovsky a bordo, e non incontrò problemi almeno durante la fase di decollo.
La Vostok 6 si trovò in un’orbita bassa, a circa 165 km dalla terra dove iniziò a compiere alcune orbite ed entrò, per poco tempo, anche in comunicazione con la Vostok 5, incrociata a poco più di 5 km. Valentina Tereshkova, soprannominata affettuosamente “Valja” dal presidente Nikita Khrushchev, diveniva così la prima donna nello spazio. Durante le 71 ore di missione, la cosmonauta effettuò una serie di test canonici per osservare le reazioni del corpo al volo spaziale, e dalla piccola finestra posta alla base della capsula poteva osservare e fotografare la terra, definita come “bella e fragile”. Non tutto però andò per il verso giusto, come la Tereshkova ebbe modo di raccontare al compimento dei 70 anni.
La cosmonauta innanzitutto si accorse che, dopo una trentina di giri (sui 48 totali), la navicella si stava allontanando dalla terra e comunicò il tutto alla base, che effettuò una serie di modifiche negli algoritmi per permettere un rientro sicuro, ma non solo. Durante la permanenza nella capsula la Tereshkova ebbe numerosi giramenti di testa che la portarono a vomitare nel casco, oltre a riportare una serie di dolori in tutte le articolazioni. Il rientro fu poi parecchio brusco, con il seggiolino eiettato dalla capsula (allora non in grado di atterrare garantendo l’incolumità dei cosmonauti). Durante la discesa la cosmonauta era letteralmente “terrorizzata”, nonostante i numerosi lanci e nonostante fosse preparata a tutto ciò, per via del vento che la spinse rovinosamente a terra, dove sbatté la faccia contro il casco, riportando lividi.
Fortunatamente alcuni uomini di un villaggio della regione di Altay, nel punto dove Russia, Cina, Mongolia e Kazakistan si incontrano, la soccorsero. Lì cenò con i suoi soccorritori e ricevette un ammonimento per l’inadempienza alle norme che prevedevano per prima delle visite mediche. Andò dunque in ospedale dove poté curarsi e, solo una volta guarita, la cinepresa si mise in moto, con la prima donna nello spazio sorridente in una tuta immacolata, a testimoniare l’ulteriore trionfo di un URSS che, ancora una volta, vinceva la sua corsa allo spazio. Almeno fino all’allunaggio del luglio 1969, ma questa è un’altra storia.
Fonti bibliografiche e iconografiche: esa.int corriere.it
C/NASA per l’immagine in evidenza