Quando le rinnovabili attraversarono lo Stretto
Oggi si parla sempre più di rinnovabili, ma l’energia verde non è per certo una invenzione di oggi. L’energia idroelettrica esiste da oltre un secolo ed è stata di fatto la prima tecnologia che ha fornito energia elettrica in modo massiccio e in grandi quantità.
Anche il Sud Italia, spesso avaro di acqua, ha trovato nella Calabria le regione che per prima sviluppò grandi impianti idroelettrici. Ne parlammo qui su Geomagazine.it a proposito dei grandi laghi della Sila.
Questa grande produzione di energia elettrica (non solo idroelettrica), fa ancora oggi della Calabria la regione italiana che più esporta energia in proporzione al suo fabbisogno. Lo era così anche nel dopoguerra con l’inizio del boom economico e questa grande quantità di energia doveva in qualche modo essere trasportata. La vicina Sicilia, che voleva intraprendere una nuova vita industriale, aveva però bisogno di energia elettrica per uscire dalla ruralità che la contraddistingueva. E come si sa ogni percorso di crescita deve essere accompagnato da una crescita dell’energia disponibile.
Fu così che si pensò di costruire un grande elettrodotto per portare l’energia idroelettrica dagli Altipiani della Sila fino alla Sicilia. Era la fine degli anni ’40, con la ricostruzione dopo la guerra.
Uno dei problemi che turbava e turba da diversi secoli tecnici e decisori è l’attraversamento dello Stretto di Messina e cioè quei circa 3,5 km di mare, citati da Omero come i mostri Scilla e Cariddi, che separano la Sicilia dal continente.
Anche per l’elettrodotto si pose il problema di come attraversare lo Stretto e ovviamente non era possibile mettere pali all’interno dell’acqua vista l’enorme profondità del braccio di mare di oltre 200 m. Dunque per realizzare una unica campata fu necessario costruire di fatto due torri in acciaio molte alte per sostenere il peso dei conduttori in acciaio in una campata così lunga.
Furono costruiti due piloni gemelli di ben 224 m, che rimasero per oltre 20 anni i più alti del mondo e ancora oggi sono fra i più alti in Europa. La forma di questi piloni ricorda delle Tour Eiffel (312 m) in “miniatura” e per salire in cima 2.240 gradini separavano l’operatore dal livello zero fino all’ultima piattaforma più alta.
Il pilone del lato calabrese si trova su una roccia granitica e si localizza nel borgo di Santa Trada a Villa San Giovanni. Non trovandosi al livello del mare, ma a quasi 165 m.s.l.m, la punta del pilone svetta a quasi 400 m sullo Stretto.
Il pilone siciliano si trova invece a pochi metri dalla spiaggia di Torre Faro, frazione del Comune di Messina e grazie
e alla scarsa presenza di rilievi in prossimità è ben più visibile anche da lontano.
La campata fra le due torri misura 3.466 m e la tensione fu fissata in principio a 150 kV. Essendo l’area dello Stretto soggetto a forte sismicità e ventosità, le torri sono stato calcolate per resistere ad un terremoto simile a quello che devastò Reggio e Messina nel 1908 e a raffiche fino a 150 km/h.
Negli anni ’70, con la crescente richiesta di energia, la linea viene raddoppiata dall’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica e la tensione viene alzata e portata a 220 kV. La richiesta di energia cresce sempre più e negli anni ’80, grazie alle nuove tecnologie in campo elettrotecnico, viene aggiunta una linea sottomarina a 380 kW. I cavi della linea aerea erano stati realizzati in acciaio e di certo le prestazioni dell’acciaio non sono come quelle del rame e così negli anni ’90 dopo la realizzazione della linea sottomarina si pensa a dismettere questi due gioielli dell’ingegneria elettrotecnica. Vengono dismessi prima i conduttori e quanto viene il momento di dismettere anche le torri, essendo venuta meno la loro funzione, qualcuno pensa che sia un peccato distruggere queste opere. Fu quindi grazie alla richiesta delle amministrazioni locali che furono salvate dalla dismissione e oggi sono patrimonio di Archeologia industriale. Oggi, oltre a restare i guardiani dello Stretto, i due piloni sono utilizzati per misure meteorologiche, telecomunicazioni e esercitazioni di recupero in quota, ma sono ormai il simbolo dello Stretto.
Fonti Bibliografiche : Archivio Enel, Terna