Siamo sicuri che il clima caldo disinneschi il Covid19?
La scienza è fatta di teorie che devono essere suffragate da dati oggettivi e quando questi non lo fanno più, le stesse vengono smontate e non sono più valide. Da sempre, nella storia, il dibattito ha accompagnato la scienza, però spesso chi proponeva alcune tesi non aveva sufficientemente dati oggettivi per affermarle oppure aveva deboli ipotesi, oppure, per contro, chi le aveva solide non veniva creduto. Galileo di certo ci potrebbe parlare molto di questo tema.
Oggi con l’esplosione dei social si assiste a veri e propri “match di boxe” dove alcune teorie, spesso, anche non scientificamente provate, vengono sostenute da “tifoserie” degne dei tempi dei Guelfi e dei Ghibellini. Ovviamente il virus del Covid19 e le sue conseguenze non sono state indenni da queste forche caudine social. Alcune ipotesi sono state prese per oro colato e riportate poi anche da giornali molto seguiti, ma che di certo non applicano il metodo scientifico nel pubblicare le notizie, ma piuttosto preferiscono ottenere like facili.
La scienza ci impone sempre cautela e di porci dei dubbi. Questi due aspetti sono d’obbligo nel formulare teorie nella diffusione di una nuova pandemia come il Covid19; virus per il quale ci siamo trovati in piena emergenza senza conoscere bene tutte le dinamiche. Il mondo scientifico non ha avuto i tempi necessari per studiare il fenomeno in modo approfondito con dati sperimentali sufficienti.
Diverse teorie hanno letteralmente diviso la scienza (e i social) come ad esempio: la diffusione del virus in via aerea o meno, la distanza di sicurezza da mantenere, la validità o meno di alcuni farmaci e gli studi sui vaccini e questi solo per citarne qualcuno.
Fra le tante teorie molto dibattuta è stata quella legata al clima e cioè al fatto che le temperature elevate influissero sulla diffusione o meno del virus. In Europa il virus è esploso a cavallo fra fine inverno e inizio primavera e se è pur vero che nei periodi freddi le persone stanno maggiormente al chiuso, favorendo i contagi, lo è stato meno vero in alcuni paesi con temperature miti dove comunque si è diffuso il virus. Ad esempio l’Iran dove c’è ben qualche in grado in più rispetto alla pianura padana e ad aprile non è raro registrare 30 gradi nel sud del paese.
Veniamo però alla situazione odierna dove i paesi in cui il virus è in piena espansione non sono solo quelli in cui ora è più freddo. Secondo i dati della Hopkins University, è vero che troviamo il Cile, nella prime posizioni al mondo (6°) per contagio dove è inverno, ma è pur vero che troviamo nei primissimi posti gli Stati Uniti e la Russia dove siamo in stagione estiva. Ci sono poi diversi paesi a cavallo delle zona equatoriale/tropicale dove di certo le temperature non sono quelle della pianura padana in inverno e sono il Brasile, l’India e il Messico. Di certo stiamo parlando di paesi molto popolosi, ma dove le curve di contagio hanno una risalita esponenziale.
Saranno necessari molti studi ancora per trovare eventuali cause-effetto, ma di certo la teoria che il caldo sconfigga il virus sembra essere sempre più labile senza dati sufficientemente forti per suffragarla. Alcuni elementi caratterizzanti le stagioni fredde, ma che sono una conseguenza e non una causa diretta, contribuiscono di certo alla diffusione del virus, ma anche in condizioni estive il contagio sembra non fermarsi, se non nei paesi dove è stato attuato un forte lockdown e dove ancora oggi si attua il distanziamento sociale e si usano le mascherine.
In sostanza poniamoci sempre il dubbio se ciò che ci viene propinato sia poi suffragato dalla realtà e attendiamo che le teorie siano sufficientemente forti per sposarle a spada tratta. La scienza è una continua verifica di dati e se vogliamo bene alla informazione e alla scienza stessa sforziamoci di usare la cautela e di porci sempre in senso critico.