SARS-CoV-2 può continuare a ‘nascondersi’ nei soggetti guariti?
Una delle domande a cui non si è ancora data risposta è la misura in cui il virus può “nascondersi” in individui apparentemente guariti. In caso affermativo, questo potrebbe spiegare alcuni dei sintomi persistenti di COVID-19 o rappresentare un rischio di trasmissione dell’infezione anche dopo il recupero.
Cos’è un’infezione virale cronica o persistente?
Un’infezione cronica o persistente continua per mesi o addirittura anni, durante i quali il virus viene continuamente prodotto, anche se in molti casi a livelli bassi. Spesso queste infezioni si verificano in un cosiddetto sito immunitario privilegiato.
Cos’è un sito immunitario privilegiato?
Ci sono alcuni punti del corpo che sono meno accessibili al sistema immunitario e dove è difficile sradicare tutte le infezioni virali. Questi includono il sistema nervoso centrale, i testicoli e l’occhio. Si pensa che il vantaggio evolutivo dell’avere una regione immunitaria privilegiata sia quello di proteggere aree come il cervello, ad esempio, dall’essere danneggiato dall’infiammazione, quando il sistema immunitario combatte un’infezione.
Un sito immunitario privilegiato non solo è difficile per il sistema immunitario, ma limita anche le proteine, che aumentano l’infiammazione. Il motivo è che mentre l’infiammazione aiuta a uccidere un agente patogeno, può anche danneggiare un organo come l’occhio, il cervello o i testicoli. Il risultato è che l’infiammazione risulta limitata, ma l’infezione continua a peggiorare.
Ma c’è un altro modo in cui un virus può nascondersi nel corpo e riemergere in seguito.
E’ l’infezione virale latente, che si verifica quando il virus è presente all’interno di una cellula infetta ma dormiente e non si sta moltiplicando. In un virus latente, è presente l’intero genoma virale e il virus infettivo può essere prodotto se la latenza termina e le infezioni diventano attive. Può integrarsi nel genoma umano – come l’HIV, per esempio – o esistere nel nucleo come un pezzo di DNA autoreplicante chiamato episoma.
Un virus latente può riattivarsi e produrre virus infettivi e ciò può verificarsi da mesi a decenni dopo l’infezione iniziale. Forse il miglior esempio è la varicella, che sebbene apparentemente sradicata dal sistema immunitario può riattivarsi e causare l’herpes zoster decenni dopo. Fortunatamente, la varicella e lo zoster sono ora prevenuti dalla vaccinazione. Essere infettati da un virus in grado di produrre un’infezione latente significa essere infettati per il resto della tua vita.
In che modo un virus diventa un’infezione latente?
I virus dell’herpes sono di gran lunga le infezioni virali più comuni che stabiliscono la latenza. Questa è una grande famiglia di virus il cui materiale genetico, o genoma, è codificato dal DNA (e non dall’RNA come il nuovo coronavirus). I virus dell’herpes includono non solo i virus herpes simplex 1 e 2, che causano l’herpes orale e genitale, ma anche la varicella. Altri virus dell’herpes, come il virus di Epstein Barr, causa della mononucleosi, e il citomegalovirus, che è un problema particolare negli individui immunodeficienti, possono anche emergere dopo la latenza.
I retrovirus sono un’altra famiglia comune di virus che stabiliscono la latenza, ma con un meccanismo diverso rispetto ai virus dell’herpes. I retrovirus come l’HIV, che causa l’AIDS, possono inserire una copia del loro genoma nel DNA umano.
I virus che stabiliscono la latenza nell’uomo sono difficili o impossibili da debellare per il sistema immunitario. Questo perché durante la latenza può esserci poca o nessuna produzione di proteine virali nella cellula infetta, rendendo l’infezione invisibile al sistema immunitario. Fortunatamente i coronavirus non stabiliscono un’infezione latente.
In un piccolo studio, SARS-CoV-2 è stato rilevato nello sperma in un quarto dei pazienti durante l’infezione attiva e in poco meno del 10% dei pazienti che apparentemente si sono ripresi. In questo studio, è stato rilevato l’RNA virale e non è ancora noto se questo provenisse da virus ancora infettivi o morti nello sperma; e non è nemmeno chiaro se il virus può essere trasmesso sessualmente. E anche se sembrerebbe di no, tante domande importanti rimangono senza risposta.
L’Ebola, ad esempio, è un virus molto diverso da SARS-C0V-2, ma serve come esempio di persistenza virale nei siti immunitari privilegiati. In alcuni individui, il virus Ebola sopravvive in siti immunitari privilegiati per mesi dopo la risoluzione della malattia acuta. I sopravvissuti sono stati documentati con infezioni persistenti nei testicoli, negli occhi, nella placenta e nel sistema nervoso centrale.
L’OMS raccomanda ai sopravvissuti maschi di Ebola di testare lo sperma ogni tre mesi. Suggeriscono anche che le coppie si astengano dal sesso per 12 mesi dopo il recupero o fino a quando il loro sperma non risulti negativo due volte. Come notato sopra, abbiamo bisogno di saperne di più sulle infezioni persistenti da nuovo coronavirus prima che possano essere prese in considerazione raccomandazioni simili.
I sintomi persistenti dopo COVID-19 potrebbero essere dovuti alla persistenza virale?
Il recupero da COVID-19 è ritardato o incompleto in molti individui, con sintomi tra cui tosse, mancanza di respiro e affaticamento. Sembra improbabile che questi sintomi costituzionali siano dovuti alla persistenza virale poiché i sintomi non provengono da siti immunitari privilegiati.
In quale altro luogo il nuovo coronavirus potrebbe persistere dopo il recupero da COVID-19?
Altri siti in cui è stato rilevato il coronavirus includono la placenta, l’intestino, il sangue e, naturalmente, le vie respiratorie. Nelle donne che prendono il COVID-19 durante la gravidanza, la placenta sviluppa difetti nei vasi sanguigni della madre. Tuttavia, il significato di ciò sulla salute fetale deve ancora essere determinato.
Il nuovo coronavirus può anche infettare il feto attraverso la placenta. Infine, esso è presente anche nel sangue, nella cavità nasale e nel palato fino a un mese o più dopo l’infezione.
COCNLUSIONI – Le prove crescenti suggeriscono che SARS-CoV-2 può infettare siti immunitari privilegiati e, da lì, provocare infezioni croniche persistenti, ma non latenti. È troppo presto per conoscere la misura in cui queste infezioni persistenti influenzino la salute di un individuo come la madre incinta, ad esempio, né la misura in cui contribuiscano alla diffusione del COVID-19. Come molte cose nella pandemia, ciò che è sconosciuto oggi sarà probabilmente noto domani, quindi saranno necessari ulteriori studi.