Gas denso e freddo espulso dal centro della Via Lattea
Un team internazionale di ricercatori, utilizzando l’Atacama Pathfinder EXperiment (APEX) gestito dall’European Southern Observatory (ESO) in Cile, ha osservato l’espulsione di un gas denso e freddo sparato via dal centro della Via Lattea. I motivi restano un mistero, ma potrebbero avere importanti implicazioni per il futuro della nostra galassia.
Quando una galassia espelle molta massa, perde del materiale che potrebbe essere utilizzato per formare stelle, e se ne perde abbastanza, non può più formarne. Lo studio quindi solleva anche nuove domande su ciò che sta accadendo nel nostro centro galattico in questo momento.
“Il vento al centro della Via Lattea è stato oggetto di numerosi dibattiti sin dalla scoperta, un decennio fa, delle cosiddette bolle di Fermi, due sfere giganti piene di gas caldo e raggi cosmici“, ha detto il professor McClure-Griffiths dell’Australian National University (ANU). “Abbiamo osservato che non c’è solo gas caldo proveniente dal centro della nostra galassia, ma anche gas freddo e molto denso. Questo gas freddo è molto più pesante, quindi si muove meno facilmente“, spiega il ricercatore.
Il centro della Via Lattea ospita un enorme buco nero, ma non è chiaro se questo abbia espulso il gas o se sia stato soffiato dalle migliaia di stelle massicce al centro della galassia.
“Non sappiamo come il buco nero o la formazione stellare possano produrre questo fenomeno. Stiamo ancora cercando la pistola fumante, ma più apprendiamo e più si complicano le cose“, sostiene l’autore principale Dr. Enrico Di Teodoro, dalla Johns Hopkins University.
Gli scienziati hanno già osservato questo fenomeno in altre galassie, dove i buchi neri supermassicci e l’attività stellare più elevata favorisce il processo, ma è la prima volta che esso viene visto nella Via Lattea.
“Poiché le altre galassie sono molto lontane, la Via Lattea è quasi come un laboratorio in cui possiamo effettivamente entrare e cercare di capire come funzionano le cose guardandole da vicino“, conclude il ricercatore. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature.