I decessi per Covid-19 secondo i dati ISTAT
L’ambito della biopolitica è elemento di discussione filosofica da decenni, ed in questo periodo di pandemia costituisce un motivo di riflessione di grande attualità: la vita biologica è elemento centrale del confronto politico. Le scienze demografiche, statistiche, ma anche la genetica e la psichiatria hanno sviluppato un concetto di normalità che, di contro, ha relegato ad eccezione ed anomalia ciò che normale non è, sulla base di diversi canoni. Presentare dei dati statistici che parlano di morti diviene, nella logica del governante o del decision maker, un freddo esercizio da ragioniere: x ammalati, y morti, z guariti, mentre per gli asintomatici utilizzeremo non una lettera, ma un aggettivo: “tanti”, forse “tantissimi”, addirittura “praticamente tutti”. Dietro ai freddi numeri ci sono persone, storie, sensibilità, emozioni, e spesso sono le emozioni degli anziani che ci hanno insegnato molto, che ci hanno aiutato con i nostri figli, che aiutano a fine mese i né-né e qualche bamboccione che vive ancora con loro.
Il legislatore, o forse sarebbe meglio dire il Governo calatosi nella parte del legislatore, ha trattato le persone come numeri ancora più freddamente e convintamente di prima, preoccupandosi di quello che Giorgio Agamben definisce come la “cura della vita biologica della Nazione”. In recenti prese di posizione proprio il filosofo Agamben è stato molto duro con le implicazioni della crisi sanitaria sostenendo che “la cosiddetta pandemia sarebbe stata usata come pretesto per la diffusione sempre più pervasiva delle tecnologie digitali” (approfondisci)
La Nazione, il suo lebensraum, la sua salute, però, sembravano richiedere questo, e gli odiosi provvedimenti di restrizione erano rivolti a preservare la Nazione come un unico corpo, intervenendo sul lebensraum dei singoli atomi del corpo collettivo, confinandoli tra coercizione e “forti raccomandazioni”. Torna alla mente un passo di “The nightmares of a Nation”, di C. Beradt:
Le visite erano terminate, e stavo per allungarmi sul divano per rilassarmi un po’ con un libro di Matthias Grünewald, quando improvvisamente le pareti della stanza e poi dell’intero appartamento scomparvero. Mi guardai intorno e scoprii con orrore che dappertutto gli appartamenti non avevano più pareti. Poi sentii un altoparlante annunciare “in base al decreto del 17 di questo mese sull’abolizione delle pareti…”
La dimensione vitale, anche intima, è dunque divenuta politica, è stata dalla politica invasa in modo molto significativo, impattante, probabilmente indebito, al fine di tutelare la salute di tutti, come se un unico corpo caduto ad opera del virus fosse stato un brandello del muro di una casa che ospita la nostra comunità immaginata. Tipicamente l’approccio occidentale alla malattia è il confinamento del malato, l’allontanamento dello stesso dal resto della società (Vedi U. Fabietti). In questo caso il confinamento, l’isolamento, sono stati anch’essi messi in opera ma in qualche modo questa malattia è stata socializzata, con lo spettacolo delle conferenze stampa e la difficoltà nell’organizzare e nel pensare nuovi spazi. Molti si chiedono se questo tipo di atteggiamento sia stato ragionevole, pensato, razionale; molti indicano nella Svezia un modello vincente, e che forse ha avuto risultati non così negativi in termini di KPI (il più importante è senz’altro il numero di morti in funzione della popolazione totale) anche per il senso civico dei componenti di quel corpo nazionale.
Facendo un passo indietro ai freddi numeri, però, ci si chiede se la pandemia, in Italia, abbia impattato davvero sulla salute del corpo della nazione, se rispetto agli altri anni siano più o meno le persone che hanno trovato la morte. Ad inizio novembre, ed ancora in piena pandemia, non è purtroppo ancora tempo di bilanci, ma l’ISTAT ha già abbozzato un calcolo in un documento non molto pubblicizzato, datato 22 ottobre: “Decessi per il complesso delle cause. Periodo gennaio-agosto 2020” (approfondisci) Lo scopo del documento è comprendere l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla mortalità totale della popolazione residente.
In figura i dati aggiornati al 7 ottobre mostrano come nei primi sei mesi dell’anno il picco di decessi a livello nazionale si sia avuto a marzo, mentre la correzione dei dati su tutti i 7903 comuni italiani abbia avuto un’integrazione maggiore a maggio e giugno.
In effetti l’aggiornamento dei dati è soggetto a quella che l’ISTAT chiama “sotto-copertura” che a tutti gli effetti rappresenta una diversa velocità di risposta degli enti locali nel registrare ed elaborare i dati; per ovvi motivi questa parziale inerzia è maggiore nei mesi più recenti rispetto alla data di rilascio dei dati. Lo sforzo dell’ISTAT è quello di monitorare l’andamento di un fenomeno assolutamente particolare il quale, pur con grande eterogeneità, ha impattato a livello nazionale in diversi modi.
L’ISTAT ha confrontato il numero di persone decedute nel solo mese di marzo del 2020 con la media dei decessi medi del periodo 2015-2019. Questo confronto si basa sul numero di decessi totali, e quindi non considera la causa dei decessi stessi, causa che si è prestata a speculazioni di vario genere, soprattutto considerando persone affette da più patologie o particolarmente anziane. Il dato di marzo, suddiviso in tre aree geografiche, è andato affinandosi con le diverse rilevazioni su un numero crescente di comuni e si è consolidato in ottobre, quantificando al Nord Italia una percentuale di decessi del marzo 2020 superiore del 93,9% rispetto alla media del quinquennio precedente. Di seguito i dati per le tra aree geografiche italiane.
L’ISTAT parla senza mezzi termini di “rottura”, nel mese di marzo del 2020, del trend di diminuzione delle morti riscontrato nei primi due mesi del 2020 rispetto alla media del quinquennio precedente, riferito al periodo corrispondente. Il mese di marzo rende evidenza del periodo difficile proprio nel Nord Italia, ma anche a livello nazionale, con un aumento del 47,2% dei decessi, mentre già in aprile l’aumento è più contenuto, assestandosi nei mesi successivi con valori non troppo diversi dalla media del periodo.
In conclusione, secondo Levi-Strauss le strutture rappresentano costruzioni tipiche del modo di pensare umano che spesso ci porta a categorizzare il Mondo in comparti dicotomici e contrastanti. “Negazionisti” e “collaborazionisti” sono, in questo senso, due categorie che si pongo rispetto all’emergenza sanitaria in modo poco sereno, e si arroccano ottusamente su posizioni che finiscono per dichiararsi guerra aperta nello spettacolo indecoroso dei social media, e nelle chiacchiere poco fondate su riflessioni ed atteggiamenti analitici.
Un documento dell’ISTAT, qui velocemente commentato, evidenzia come il virus sia stato un elemento di rottura nel bilancio demografico del nostro paese con numeri evidenti quantomeno nei mesi di marzo ed aprile. Chi scrive non si vuole schierare solamente dalla parte dell’approccio numerico, freddo e distaccato, ma introdurre componenti riflessive che possano auspicare un fronte comune rispetto ad un problema. Ci sia solo consentito di sottolineare come a maniera meno efficace per risolvere un problema sia negarlo: i provvedimenti dell’esecutivo possono esser stati e potranno ancora essere, giusti o sbagliati, puntuali o tardivi, equilibrati od eccessivi, e su questo la politica giocherà gran parte delle proprie narrazioni. Sarebbe auspicabile che tutti noi, come comunità immaginata, partissimo da alcune certezze che con la parafrasi di questi pochi numeri avremmo la presunzione di instillare.
Fonti consultate: ISTAT