Covid-19 e inquinamento atmosferico in Italia
Secondo un recente studio condotto dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), svolta in collaborazione con l’Università del Salento e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), è altamente ipotizzabile che l’esposizione agli inquinanti atmosferici a breve e lungo termine possa essere collegata alla diffusione di Covid-19.
La ricerca, pubblicata su Environmental Pollution, si è soffermata sull’analisi delle concentrazioni di inquinanti atmosferici (PM 10, PM 2.5, NO2) insieme alla distribuzione spazio-temporale dei casi e dei decessi su tutto il territorio italiano, fino al livello delle singole aree territoriali, comprese quattro delle regioni più colpite, ovvero la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia-Romagna e il Veneto.
Ciò che è emerso, in particolare, è la possibilità di riscontrare sintomi più gravi nelle aree altamente industrializzate. Nel complesso, PM 10 e PM 2,5 hanno mostrato una correlazione più elevata rispetto a NO2 con i tassi di incidenza, mortalità e letalità di COVID-19.
Infine, i profili del PM 10 sono stati ulteriormente analizzati insieme alla variazione del tasso di incidenza del COVID-19 per tre delle aree territoriali più colpite nel Nord Italia (ovvero, Milano, Brescia e Bergamo) nel marzo 2020.
Tutte le aree hanno mostrato un PM 10 simile nell’andamento temporale, ma diversa variazione del tasso di incidenza del COVID-19, meno grave a Milano rispetto a Brescia e Bergamo.
L’indagine sarà estesa in futuro per tenere conto di fattori confondenti e dinamiche dell’epidemia, come ad esempio dimensione della popolazione, etnia, letti ospedalieri, numero di individui testati, condizioni meteorologiche, variabili socioeconomiche e comportamentali (ad esempio reddito, obesità, abitudine al fumo), giorni dal primo caso segnalato di COVID-19, distribuzione per età della popolazione e giorni dall’emissione dell’ordine di soggiorno.
I risultati di questo studio suggeriscono che i fattori di confusione dovrebbero essere considerati per giustificare il motivo per cui i profili PM 10 quasi identici osservati a Milano, Brescia e Bergamo durante il primo trimestre del 2020 non hanno prodotto variazioni simili del tasso di incidenza di COVID-19.
Inoltre, i fattori di confondimento potrebbero giustificare le differenze nella significatività statistica delle correlazioni riscontrate confrontando un sottoinsieme di 4 regioni con l’intero paese italiano.
Infine, il cambiamento climatico influisce negativamente sulla salute umana e il suo potenziale ruolo nella diffusione della pandemia merita ulteriori indagini.
“L’analisi dei dati è stata limitata al primo trimestre del 2020 per ridurre il più possibile gli effetti bias dipendenti dal blocco sui livelli di inquinanti atmosferici“, spiega il Prof. Giovanni Aloisio, autore corrispondente dello studio e professore Ordinario presso l’Università del Salento, Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione.