Il sesso dei fiumi
I corsi d’acqua sono maschi o femmine? Una domanda futile, che non ha nemmeno senso in tutte le lingue, ma che in italiano ha scomodato pareri eccellenti e condotto a peripezie lessicali alle volte sconfinate persino in politica. In inglese, certo, non si pone il problema ed il fiume è “the Thames” o “the Colorado”, e può essere “dirty, peaceful, dashing” ma rimane una “cosa” senza genere. Una regola assai pragmatica e comprensibile, nella lingua più diffusa al Mondo.
In italiano il fiume, il torrente ed il ruscello sono tutti sostantivi maschili, e così ad esempio in tedesco der Fluss, der Bach e der Strom (quest’ultimo un fiume di grandi dimensioni). Curioso notare che in entrambe le lingue la sorgente è invece femminile (die Quelle) ed è fin troppo facile leggere in questo un’allusione generativa, la proprietà tutta femminile di dare la vita, in questo caso l’origine di un corso d’acqua da parte della fonte o della sorgente. Dunque, in italiano il fiume è impetuoso, inquinato, placido, la sorgente chiara, incontaminata, pura.
Ogni corso d’acqua ha un nome proprio che, almeno in italiano, lo riporta ad un genere quasi sempre ben definito: il Tevere, l’Adige, il Mississippi, oppure la Dora Baltea, la Senna. È evidente che i fiumi hanno per lo più nome maschile proprio perché la parola fiume è maschile e, su questo presupposto, l’evoluzione linguistica ha avuto una “spinta uniformante” (cfr. Accademia della Crusca, con alcuni articoli nel merito, in particolare).
Non si può però dimenticare che, mentre le montagne fino all’età dei Lumi vennero di fatto ignorate e quindi spesso lasciate senza nome, i fiumi hanno sempre rivestito un’importanza strategica poetica e quasi divinatoria (si pensi al Nilo, al Tigri, all’Eufrate). Ai fiumi vennero attribuiti nomi correlati a divinità, mentre in epoca più recente essi divengono elementi politici che tracciano confini o sono teatro di guerra (dall’Ipiranga al Piave). Questa importanza rivestita dai corsi d’acqua e dalla loro personificazione ha pertanto una potenziale varietà di genere. Una regola proposta nella grammatica italiana del 1918 di Goidainich è la seguente:
Sono maschili, come Fiume, i nomi delle acque correnti che non terminino in –a: es. Il Po, Il Piave, Il Crati; quelli in –a sono ordinariamente femminili: La Secchia, La Lima, La Senna; dei pochissimi maschili basterà ricordare: L’Adda, Il Volga, Il Niagara. (cit. da Crusca)
Questa regola pratica ha il pregio di proporre poche eccezioni che la confermano, per introdurre un registro che lascia inevitabilmente molti interrogativi: parliamo dunque della Magra, la Brenta, la Bormida? Certamente “La Lima” è toponimo che si può ricondurre al potere erosivo del torrente pistoiese, per cui il femminile ha una chiave di lettura semplice, e così si può dire per “la Brenta”, che in dialetto veneto e trentino richiama il catino o il serbatoio d’acqua (il nome appare a maggior ragione appropriato se si pensa che il fiume Brenta nasce dai laghi di Levico e Caldonazzo).
Probabilmente a causa di una successiva ulteriore spinta uniformante anche i fiumi che terminano in “-a” hanno acquisito il genere maschile, per cui si parla del Brenta, il Magra, il Secchia, con eccezioni per la Dora Baltea e Riparia, che hanno la doppia terminazione in “-a”, e ad esempio per la Senna, probabilmente per ragioni storiche, trattandosi vieppiù di un fiume straniero.
Il contesto Triveneto, però, da Sarca e Brenta a Piave e Livenza, merita un’analisi dedicata. Veneto e Trentino sono regioni dove il governo delle acque è stato sempre oggetto di particolare considerazione anche in ragione dei numerosi interventi di tecnici ed esperti, sia in epoca veneziana sia durante il dominio austriaco. Si pensi che addirittura l’immissario del lago di Garda è dotato di tre articoli: la Sarca, il Sarca e, nella zona multicursuale a valle del Limarò “le Sarche” (cfr.). Il vernacolo, la lingua popolare, aveva certamente la stessa considerazione del genere femminile in molti corsi d’acqua, e fu solo il ricorso a regole della koinè linguistica a far divenire maschili i generi di Fella, Sonna, Cellina.
Per il Piave il passaggio al maschile avviene senz’altro “a furor di popolo” ed in occasione della cronaca bellica. La cronaca, del resto, è fonte di modifiche nella toponomastica durante il ventesimo secolo: si pensi ad esempio al terremoto del Bèlice (1968) che fece diventare sdrucciola, in concomitanza con la ribalta nazionale, la denominazione della valle siciliana, localmente conosciuta con il nome del fiume, Belìce.
Anche il Piave, campo di battaglia da prima di Caporetto fino a Vittorio Veneto, era certamente fino ad allora “la Piave”, finché Gabriele D’Annunzio non ne lodò la “maschia potenza” (cfr.) dopo l’appoggio alle truppe che una piena diede durante la battaglia del solstizio, nel giugno 1918. Fu una sorta di promozione sul campo, nel modo di ragionare dell’epoca, ancorché Cadorna utilizzasse il genere femminile nei dispacci ufficiali. Le voci contrarie erano i letterati che si ispiravano a Dante:
In quella parte de la terra prava italica che siede tra Rialto e le fontane di Brenta e di Piava
(Paradiso, IX, 25-27)
Ma anche l’idiosincrasia per l’imbarbarimento toponomastico che, a detta di alcuni, avrebbe portato il tedesco nella denominazione del fiume stesso: der Piave. In questo caso il fiume, ormai divenuto sacro alla Patria, vide prevalere la linea dannunziana.
Un’ultima chiosa interessante riguarda l’Adda, corso d’acqua che fu di confine al tempo i cui è ambientato il romanzo de “I promessi sposi”. Ci si sposta in questo caso in Lombardia per un corso d’acqua che richiama un nome femminile ma, lo abbiamo visto nella grammatica del Goidainich, è da considerarsi maschile. Eppure l’elisione dovuta all’inizio vocalico rende meno cogente una scelta netta, essendo l’articolo in ogni caso apostrofato:
Pagherei qualche cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercante, di là dall’Adda (ah quando l’avrò passata quest’Adda benedetta!), e fermarlo, e domandargli con comodo dov’abbia pescate tutte quelle belle notizie. (I Promessi Sposi, cap. XVII)
Nelle parole di Renzo Tramaglino che vuole uscire celermente dal Ducato di Milano, l’Adda diviene una fanciulla, certamente virtuosa, benedetta addirittura, e che probabilmente benedice chi passa; e non tarda a farsi sentire:
E stando così fermo, sospeso il fruscìo de’ piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d’acqua corrente. Sta in orecchi; n’è certo; esclama: – è l’Adda! – Fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore. (ibidem)
Il genere femminile utilizzato dal Manzoni non impedisce una personificazione del fiume che assurge, in climax, ad amico, fratello e salvatore. Ed il genere, a volte fluido e non del tutto lineare da dirimere, sta proprio in queste dinamiche antropologiche: il fiume ancor più di altri elementi naturali ispira confronto, sfida ed una simbiosi che ne invogliano a trovare il genere e le caratteristiche profonde.