Civitella del Tronto, gli eroi dell’ultima resistenza borbonica
Dai libri di storia è noto a tutti che il 17 Marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia. Qualche settimana prima, il Re Francesco II di Borbone, asserragliato con il suo esercito nel forte di Gaeta (oggi provincia di Latina) trattò per una resa. Il re volle così scongiurare ulteriore spargimento di sangue. Dunque la storiografia classica fa combaciare con questo evento l’ultima resistenza di sopravvivenza del Regno delle Due Sicilie, un regno che per la prima metà dell’ottocento aveva amministrato le regioni del Sud Italia.
Mentre a Gaeta si trattava la resa, una fortezza nel nord del Regno del sud, continuava a dare filo da torcere agli assedianti dell’esercito sardo. Stiamo parlando di Civitella del Tronto, un borgo arroccato sulle colline, che era l’avamposto di confine fra Regno delle due Sicilie e Stato della Chiesa. La località si trova oggi in Abruzzo al confine con le Marche, a metà strada fra Ascoli e Teramo. Nel 1860 quando iniziavano a spirare i venti di una possibile invasione dell’esercito sardo la fortezza fu rafforzata.
I timori si avverarono e l’invasione dell’esercito sardo avvenne il 15 ottobre 1860. L’invasione avvenne con lo scopo di incontrare (o meglio fermare) Garibaldi che da sud stava via via conquistando pezzi sempre più importanti del Regno delle Due Sicilie. Sedare eventuali nuclei resistenti, era solo un obiettivo secondario per l’esercito sardo. Fu proprio però a Civitella che i soldati fedeli a Re Francesco II diedero prova di fedeltà e grande coraggio.
La piazza borbonica di Civitella era composta da circa 500 soldati e all’inizio il generale Cialdini, capo spedizione sardo, decise di mandare solo un piccolo drappello di volontari per sbaragliare la piccola fortezza duosiciliana. I soldati assediati sbaragliarono in quatto e quattro otto il piccolo contingente sardo e anzi riuscirono a rafforzare la difesa sabotando le linee nemiche che avanzavano verso sud.
A dicembre 1860 Civitella iniziava a diventare una spina nel fianco per il governo sardo che aveva inviato rinforzi. Nonostante il numero impari di 500 assediati contro 3.500 assedianti, la resistenza di Civitella proseguiva. Intorno alla fortezza iniziava però a formarsi terra bruciata e anche lo stesso Comune aveva approvato in consiglio comunale la formazione della Guardia Nazionale del nascente Regno d’Italia.
In quel dicembre stavano ancora resistendo le fortezza di Messina, Gaeta e Civitella. Iniziavano però ad aprirsi delle crepe nell’esercito borbonico e Messina e Gaeta stavano già iniziando a trattare la resa. Molti soldati borbonici erano passati all’esercito sardo poiché il destino sembrava segnato. A Civitella però non ci si voleva arrendere. In particolare il capitano Giuseppe Giovine, anima della resistenza, non accettò le trattative e riprese a difendere la fortezza. Purtroppo fu proprio lo stesso Giovine che il 14 febbraio 1861 tradì e abbandonò la piazza civitellese.
A tenere l’ultimo baluardo della resistenza fu il sergente Angelo Messinelli. Le trattative e il destino oramai era segnato, ma gli assediati non volevano arrendersi. Ai generali dell’esercito sardo fu consegnato un biglietto da un bambino con su scritto “Non vi avanzate perché sarete respinti a cannonate”. L’esercito sardo continuò a bombardare con diverse batterie di cannoni, ma all’interno ormai si resisteva ad oltranza nonostante ormai Re Francesco II aveva trattato la resa. Era il 20 marzo 1861, il Regno d’Italia era stato già proclamato da tre giorni, gli assediati erano rimasti solo più in 300. Fuori l’esercito sardo schierava ormai quasi 4.000 soldati.
In quel giorno di marzo ormai anche all’interno erano rimasta solo più una parte dei soldati d’accordo a proseguire l’assedio. Appena il sergente Messinelli si allontanò per fare una perlustrazione a ridosso delle linee nemiche fu tradito da alcuni soldati che lasciarono aperte le porte della fortezza all’esercito sardo. Arrivò così la resa anche per Civitella e gli assedianti non furono dolci con i resistenti. Alcuni soldati, i più resistenti (nonostante la resa prevedesse di salvare la vita a tutti gli assediati), furono immediatamente fucilati così come il sergente Messinelli l’ultimo baluardo della resistenza. Fu anche deciso di distruggere la fortezza a monito per scongiurare eventuali riprese delle ostilità. Così si concluse questo lungo assedio durato per sei mesi e così si concluse l’avventura dei Borbone in Italia.
Questo pezzo non vuole essere figlio di revisionismo storico e di reflussi neoborbonici. Si sa che la storia è sempre stata scritta dai vinti e gli eroi sono sempre e solo da una parte, ma di certo non si può dimenticare il senso del dovere di alcuni soldati borbonici che restarono a combattere il loro nemico fino all’ultimo respiro, anche quando il Re stesso aveva ormai capitolato. Anche questi ragazzi sono eroi, come quelli dei vincitori, perché hanno difeso una causa e un ideale e non vanno assolutamente dimenticati o cancellati dalla storia.
Fonti consultate: Breve note intorno all’assedio di Civitella del Tronto 1860-1861 – Angeletti – Sapienza University of Rome; Il centro.it