“Grecia-Italia una faccia, una razza”, la nascita degli stati nazionali – 2° puntata
Nel primo articolo abbiamo proposto accostamenti arditi, ma un parallelismo tra cultura e storia italiana e greca può essere un esercizio piacevole. Laddove si percepisca come forzato, si pensi che è basato su chiavi di lettura personali, nell’ottica di una narrazione che vuole incuriosire chi si accosta a queste tematiche interessanti.
Le grandi culture, greca ed italiana, hanno senz’altro in comune un’unità nazionale assai recente: nel 1829 la Grecia, nel 1861 l’Italia. Nel continente europeo, la dimensione nazionale fu trovata in tempi precedenti da moltissimi popoli, primi fra tutti spagnoli e portoghesi, ma anche olandesi, danesi e molti altri. Le “comunità immaginate” che hanno trovato negli Stati-Nazione una sorta di right sizing, si sono imposte più tardi in Grecia ed il Italia, ed hanno percorso due strade parallele: quella della massoneria di Mazzini con la Giovane Italia e di Ypsilanti con la Φιλική Εταιρεία, associazioni che sono entrambe nate fuori da confini nazionali ancora immaginati, ma che vedevano gli ideologi operare non certo dove, per così dire, le cose dovevano succedere.
Il nemico, sia per i greci sia per gli italiani, era quasi solo uno e consisteva addirittura in un Impero, che occupava il territorio per il quale si immaginavano un’unica lingua, un’unica religione, un’unica forma di Governo (la Repubblica) e confini ben più ampi di quelli ottenuti al momento dell’indipendenza. Da una parte l’Impero Ottomano era un’entità in grande difficoltà e occupava di fatto tutta l’area greca, dall’altra l’Impero Asburgico aveva ampi possedimenti in Italia, ma aveva un’area di influenza su tutta la penisola: per motivi dinastici sui ducati dell’Italia centrale ed almeno in parte sul dominio Borbone, ed a livello diplomatico verso lo Stato Pontificio, al quale garantiva protezione.
L’indipendenza fu un processo che si concretizzò grazie alle abilità diplomatiche di Cavour e Giovanni Capodistria (Ιωάννης Καποδίστριας), anche se gli ideologi contribuirono a far nascere, quantomeno nella classe borghese, l’afflato ed il senso di appartenenza che caratterizza i gangli di ogni Stato Nazione. Entrambi gli Stati, neonati e fragili ma sotto l’egida delle interessate potenze europee, si dotarono di una rassicurante monarchia: rassicurante, sia chiaro, per le diplomazie estere che avevano appoggiato le iniziative risorgimentali. Nel caso italiano la monarchia sabauda fu certamente una dei protagonisti dell’unificazione del nostro Paese, dall’altra Ottone von Wittelsbach fu quasi catapultato dalla Baviera ad Atene, ed infatti non ebbe molta fortuna.
Ma cosa accomunava ancora questi due Stati, stati vassalli verrebbe da dire, nati attorno alla metà dell’800? Certamente il senso di incompiutezza dell’operazione di unificazione che in Italia escludeva Roma e il Lazio e quelle che vennero battezzate, forse all’uopo, le “Tre Venezie”; mentre la Grecia doveva rinunciare, momentaneamente, a Creta e a numerose altre isole (tra cui il Dodecaneso), alla Tessaglia, alla Macedonia, alla Tracia.
Il risorgimento italiano si conclude con Porta Pia e la proclamazione di Roma a capitale d’Italia, il 3 febbraio del 1871, ma ha una sorta di appendice nel primo conflitto mondiale, che alcuni patrioti ma anche intellettuali, individuarono come quarta guerra di indipendenza (una sorta di tropo con intenti eufemistici, che non può rendere meno tragico l’ingresso in guerra dell’Italia, nel 1915). L’annessione del Trentino, dell’Alto Adige e della Venezia Giulia completarono dunque l’unità territoriale dello Stato Italiano nel 1919 con i trattati di Parigi.
Nella stessa sede alla Grecia veniva assegnata la regione della Tracia, a discapito della Bulgaria. Proprio come l’Italia, la Grecia aveva proceduto fino al conflitto mondiale, per così dire, per approssimazioni successive, e con la Tracia si concludevano le annessioni rivendicate dalla monarchia greca, con un’eccezione curiosa: le isole sudorientali, vicine alla costa della Turchia, conosciute come le “dodici isole”, il Dodecaneso. Queste isole, nell’ambito dell’affare libico, erano state occupate (all’inizio solo temporaneamente) dall’Italia diventando, proprio come la Libia, una sorta di colonia italiana. La fine della Grande Guerra, pertanto, rappresentava una vittoria per i due giovani stati una “vittoria mutilata” per le velleità che entrambi avevano ad Oriente, ed è curioso pensare come nel Dodecaneso le due entità statali, ma soprattutto le due culture, si siano toccate e scontrate in un contesto che si colloca proprio sulla linea di attrito con la realtà mediorientale, diversa per storia, lingua e religione.
La tensione a far corrispondere, sempre e comunque, i confini nazionali con quelli linguistici e culturali, ha portato sia l’Italia sia la Grecia a progettare e mettere in opera, almeno in parte, i dolorosi ricollocamenti, resettlement basati su censimenti e trasferimenti, volontari o forzati, che hanno avuto lo scopo di far corrispondere il contenitore al contenuto, lo Stato alla Nazione. Le eccezioni, le minoranze, gli imprevisti, dovevano essere opportunamente allontanati, collocati all’esterno della realtà nazionale, dove che fosse. Questi capitoli tristi non vogliono certo essere banalizzati, in queste scarne e poche parole, ma non possono che essere innanzitutto condannati, e certamente non possono essere trattati in questa sede.
Prossima puntata: Castellorizo (Castellorosso) ed il Dodecaneso: il Mediterraneo tra Italia, Grecia ed Italia.
in collaborazione con Giuseppe Cutano.