In questi giorni ho notato sui social che un mio contatto con atteggiamenti negazionisti e polemici della prima ora, ammiccava alle proprie prese di posizione atteggiandosi ad Antigone. La cosa mi ha turbato per una serie di motivi e volevo proporre una breve riflessione sul tema dell’obbedienza e della disobbedienza civile.
I miti greci da sempre hanno rappresentato archetipi di significato profondo: hanno descritto i drammi e le imprese umane, i rapporti degli uomini con la religione, con la natura, con quelle che si sarebbero consolidate come le tradizioni popolari.
Nell’ambito del mito e della tragediografia, Antigone è una delle figlie di Edipo e Giocasta, e dà nome all’ultima tragedia della celeberrima trilogia di Sofocle su Edipo, re di Tebe. Tebe è una città della Beozia, che oggi ha il nome moderno di Thiva, ed è stata ricostruita dopo un forte terremoto verificatosi a metà dell’Ottocento. Un’analisi che forse si posiziona tra il nostalgico ed il dozzinale potrebbe prendere la cittadina ormai periferica di Thiva a simbolo della cultura greca: tanto gloriosa e capace di espressioni artistiche inarrivate nell’antichità, quanto piuttosto dimessa nel panorama odierno.
Spesso la figura mitologica di Antigone è comparata ad un personaggio realmente esistito, un ateniese del V sec. a. C., Socrate. E la distanza tra Tebe ed Atene, tra mito e realtà, potrebbe in qualche modo dare la misura di quanto l’obbedienza e la disobbedienza civile siano atteggiamenti di grande spessore, di eccelsa levatura morale, di profonda riflessione.
Antigone è sopravvissuta al lutto della morte del padre e dei due fratelli che, nella lotta fratricida dei sette contro Tebe, si sono feriti mortalmente in maniera reciproca. Il nuovo re di Tebe, Creonte, ordina che solo ad Eteocle, il fratello che ha combattuto a fianco dei tebani, siano riconosciuti gli onori funerari, ed allo stesso tempo bandisce il corpo di Polinice e ne proibisce la sepoltura. Antigone, contravvenendo ad una legge del Re, provvede a ricoprire le povere spoglie del fratello e a piangerne la morte.
Creonte: conoscevi i divieti del mio bando?
Antigone: sì, lo sapevo: erano noti a tutti.
Creonte: ed hai osato violar le leggi?
Antigone: sì, certo, perché Zeus non ha voluto imporre a me divieti, e Dike quella che dimora coi numi di sotterra, per l’uomo non ha mai fissato norme simili. D’altro canto, io non credevo che umani editti avessero sì grande forza da conferire ad un mortale la facoltà di violare le leggi divine, non mai scritte, ma immutabili.
Questa è Antigone: disobbedisce pubblicamente, perché ritiene le leggi umane non consone alle leggi divine, per rispettare il pio dovere di piangere ed onorare un fratello defunto, pur morto mentre si armava contro i propri parenti e concittadini. Non cerca scuse o scorciatoie, Antigone, non cerca il favore personale, l’insubordinazione viscida, il mero tornaconto. Lei vuole, con la propria morte, affermare un principio: le leggi possono essere violate quando sono contrarie a leggi non scritte ma imperiture, le leggi degli déi.
Un comportamento invece irreprensibile è quello del filosofo ateniese Socrate, il quale viene condannato a morte con capi d’accusa piuttosto fiacchi, che qualche secolo più avanti sarebbero forse stati catalogati come eresie. Per questi reati di opinione Socrate viene condannato e, sebbene gli siano concesse più volte possibilità di fuga o di esilio, accetta di buon grado di bere la cicuta.
Nel Critone, Socrate afferma che tra il cittadino e le leggi esiste un patto (oμologia) e che se egli morirà sarà colpa degli uomini, non certo delle leggi, mentre in caso di fuga l’unico colpevole sarebbe lui. Un atteggiamento di questo tipo è stato addirittura definito da un magistrato “feticismo della legge”, ma l’intransigenza di Socrate lascia il campo a riflessioni particolarmente attuali: il rapporto tra legalità e giustizia non può esaurirsi con quello tra legge ordinaria e Costituzione (distinzione peraltro non presente nell’Atene del Quinto secolo).
Nell’architettura imperfetta di leggi e principi, Socrate, come Antigone, si richiamano a valori supremi, su tutti il sacrificio della vita al fine di costruire una società migliore. Questo atteggiamento, a pochi giorni dalla ricorrenza della Liberazione, accomuna pertanto personalità di grande spessore che, anche nella disobbedienza civile, hanno voluto far passare un’idea di giustizia che in certi casi entrava in contrasto con quella di legge: Gandhi, Martin Luther King, in tempi più recenti forse Carola Rackete. Quanto sia distante la levatura di questi personaggi dall’atteggiamento egoista ed opportunista di coloro che non accettano alcune norme di salute pubblica, lo lascio giudicare a voi che avete avuto la pazienza di leggere questo mio intervento particolarmente accorato, ma spero non per questo privo di un filo conduttore e di una logica che vi lascerà qualche spunto di riflessione.