Published On: Gio, Giu 3rd, 2021

Il lago d’Aral, il grande lago che scompare

Alle elementari e alle medie la carta politica dell’Europa suscitava in me molto interesse, e nella bidimensionialità semplicistica dello strumento cartografico, mi ispirava fantasia, alterità, fughe in avanti. E dove si spingeva la fantasia? Certamente verso quelle strade dell’Est che delimitavano in modo più incerto l’Europa, tra il Bosforo e gli Urali, con due grandi Stati a fare da teste di ponte verso l’Asia e l’orientalismo, religioso ed etnico. Il confortevole Mediterraneo, l’immenso Atlantico, hanno sempre confinato il “Vecchio continente” da due lati, mentre verso Est già Alessandro Magno, e poi Marco Polo avevano aperto scenari politici e commerciali.

Mappa dell’Europa orientale/ME nel 1990 post unificazione Germania e prima dello sgretolamento del mondo URSS

A Est, la Turchia con la sua megalopoli ambigua ed affascinante (Istanbul), e l’Unione Sovietica, coacervo di fusi orari, ma prima ancora di razze (pardon) e di confini caldi, non rappresentano tanto due cuscinetti, quanto due crasi belle e buone nell’interfaccia di due culture. La zona di passaggio, incognita e solo tratteggiata, era ricompresa quasi per intero all’interno dell’URSS. I grandi specchi d’acqua che tingevano di blu o di violetto la carta mi lasciavano, da bambino, davvero la mano libera verso mari confinati ma non per questo meno affascinanti, ormai al di là, nel continente asiatico, ed invece sconfinati nel carico di mistero che quel medio-oriente meno caricaturale portava con sé. Il Mar Nero è ancora in Europa, è un mare a tutti gli effetti e ricorre nella storia greca col nome di Ellesponto, il famoso thalassa thalassa di Senofonte, con Odessa e Trebisonda. Ma poi ci sono altri due mari, che mari non sono, nella cartina della mia infanzia: il Mar Caspio ed il lago o mare d’Aral.

Dei tre “mari” il lago d’Aral è il più piccolo ma ha una superficie di 68.000 km2 (fonte dato globalgeografia, dato riferito al 1960), è il quarto lago per estensione al mondo e le sue rive fanno tutte parte dell’URSS. Per intenderci, il lago ha una superficie equivalente a quella della Georgia, o dell’Irlanda, il triplo dell’intera Toscana. Un lago salmastro enorme, alimentato principalmente da due fiumi, il Sir e l’Amu, immissari che nascono dalle propaggini occidentali delle grandi catene montuose asiatiche.

Sia il mar Caspio che il lago d’Aral sono bacini endoreici, scorrono cioè verso l’interno, come suggerisce la facile etimologia, in questo caso in una grande depressione che si colloca tra l’Hindukush, il Caucaso e gli Urali, e porta le acque di grandi fiumi, tra cui il Volga e l’Ural, a perdersi dentro il continente asiatico. In altre parole né il Mar Caspio né il lago d’Aral hanno emissari, ed il bilancio idrologico si chiude con una massiccia evaporazione, favorita dal clima piuttosto arido di quelle vaste aree.

L’evoluzione del lago d’Aral (Credit Habitami)

Il lago d’Aral ha avuto nella storia ampie escursioni ma dal 1960 ha iniziato a contrarre la propria superficie in maniera rapida e molto consistente. Il fiume Amu nasce in Afghanistan. Nella regione settentrionale dello stato islamico, infatti, si posiziona lo spartiacque tra il bacino dell’Indo, che sfocia nell’Oceano Indiano, ed una zona montuosa che si affaccia verso la Russia. Già negli anni ’60 il progetto di sfruttamento intensivo dei terreni aridi e semideserti ha portato alla costruzione di canali irrigui, come il canale Karakum che è il più lungo del Mondo, è navigabile ed attraversa completamente il Turkmenistan.

Certamente la fine dell’Unione Sovietica e la sua suddivisione non hanno giovato nell’approcciare un rimedio a quello che è divenuto un disastro ambientale, causato dalla privazione della materia prima e fortemente aggravato dalle successive sistematiche attività inquinanti operate sul territorio, dai depositi militari, all’utilizzo di diserbanti in agricoltura, all’industrializzazione sregolata. Una gestione non più unitaria del bacino ha portato ad interessi neo-nazionali divergenti, con il Kazakistan che è più attento alle problematiche di ritiro del lago ed alla scomparsa della pesca, mentre Turkmenistan ed Uzbekistan non attuano politiche di recupero della superficie lacustre.

Preso atto che la pesca era completamente scomparsa nei primi anni del ventunesimo secolo, e con un bacino oramai diviso in due e ridotto a poco più del 10% della superficie originaria (anche se il dato è controverso), il Kazakistan ha realizzato una diga in terra all’interno del bacino, con l’intento di recuparne la parte settentrionale, incanalando le acque dell’Amu nel piccolo Aral.

Attualmente il bacino settentrionale chiamato “Piccolo Aral”, ha una superficie di circa 3800 km2 (elaborazione personale delle immagini di Google Earth®) ed è particolarmente attenzionato dall’unico stato su cui ne insiste il sedime, ovvero il Kazakistan, tanto che grazie alla diga di Kokaral è ripresa la pesca e le acque non sono particolarmente inquinate.

Di contro il bacino meridionale, completamente separato dal Piccolo Aral, ha visto riemergere il terreno circostante l’isola Vozrozhdeniy, verso le coste occidentali, e si è ulteriormente suddiviso in due laghi, uno dei quali è di fatto una depressione arida. Sull’ormai ex isola ha sede un aeroporto militare ed un deposito laboratorio in cui vennero studiate persino armi batteriologiche. Una gestione unitaria ed ambientalmente attenta di tutta l’area potrebbe puntare ad un lento recupero di vaste zone in cui la salinità e l’inquinamento hanno impedito qualsiasi tipo di insediamento e di attività.

 

About the Author

- ingegnere per l’ambiente ed il territorio, laureato a Trento, si è sempre occupato di progettazione idroelettrica, mercato dell’energia, idraulica ed ambiente. Ha numerose esperienze lavorative internazionali (Brasile, Africa centrale, Australia) ed una passione per la geografia e la cultura classica. Questa passione lo ha portato a laurearsi in geografia nel 2020 con una tesi sugli itinerari culturali. Velleità da periegeta e da geografo naïve non lo distolgono dal grande obiettivo di sensibilizzare le persone rispetto al tema dell’energia, della sua produzione, del risparmio ed in un’ultima analisi della strategica importanza che questa commodity riveste. Il progetto GeoMagazine lo ha convinto sin dall’inizio e, oltre che alla produzione di articoli tra scienza e contaminazioni umanistiche, a rivestire il ruolo di editore di questa pagina di comunicazione scientifica ed ambientale, con l’obiettivo di renderla un canale di informazione imparziale ed obiettivo, lontano da semplificazioni, sottintesi e qualunquismo. Un canale che si rivolge ad un pubblico variegato in termini di età e formazione, ma che si pone una regola ferrea: analizzare i problemi, suffragarli, e spiegarli in modo semplice. Lo story telling che si può invece scorgere negli articoli più leggeri vuole essere una posa di positivismo ed un’ispirazione verso mondi inesplorati, fuori e dentro di noi.