Balvano 1944, la strage della fame dimenticata
Marzo 1944, siamo durante la seconda guerra mondiale. L’Italia è spaccata in due. Al centro e al nord c’è l’occupazione nazista e la Repubblica di Salò, mentre nelle regioni del Sud, già liberate, c’è l’Italia di Vittorio Emanuele III e Badoglio. Il Paese è nel caos totale, gli alleati che risalgono bombardando le posizione tedesche, i nazi-fascisti che arretrano facendo piazza pulita di cose e persone, la resistenza partigiana e tanta povera gente alla fame. La morte è sempre dietro la porta.
Nelle aree liberate, da Cassino in giù, la convivenza con con gli alleati non era proprio rose e fiori. Gli anglo-americani avevano inibito il commercio e quindi, la gente per sfamarsi, iniziò a praticare il baratto. Dunque il treno dava una possibilità per le persone che vivevano nei grandi centri urbani di spostarsi nelle zone rurali per scambiare oggetti con del cibo.
Fu così che il 2 marzo 1944, come accadeva spesso, molte persone si riversarono nella stazione di Napoli alla volta della Basilicata e di Potenza dove molte persone avrebbero potuto andare a procurarsi del cibo. Il treno passeggeri partì alla volta di Potenza pieno e molte persone, che non erano riuscite a partire si assieparono sul treno merci 8017 che faceva lo stesso percorso. Risulta che anche la maggior parte dei passeggeri del treno 8017 non fossero clandestini sul treno, ma avevano pagato un regolare biglietti. Si può immaginare il “confort” di quei viaggi della speranza, dove la neve veniva usata dentro un fazzoletto per respirare nelle gallerie. Era il rigido inverno del 1944.
Ad ogni stazione, lungo il percorso, continuavano a salire persone e giunti alla stazione di Salerno, dove terminava la tratta elettrificata, vennero messe due locomotive a vapore per arrivare a destinazione lungo la tratta non ancora elettrificata. Il treno, molto lungo, era composto da ben 48 vagoni e copriva la lunghezza di quasi 500 m. Visto il carico e la lunghezza il treno procedeva a passo molto lento a non più di 15 km/h.
Il treno giunse poco dopo la mezzanotte alla stazione di Balvano in provincia di Potenza. Da li si sarebbe apprestato a percorrere il tratto più ripido del tracciato. Ripartito dalla stazione, poco prima dell’una del 3 marzo, il treno lentamente giunse alla galleria “Delle Armi” lunga circa 2 km. Poco prima era passata un’altra locomotiva che nella galleria con scarsa aerazione (quella notte la ventilazione era scarsa) aveva lasciato già una grande quantità di monossido di carbonio.
Il convoglio 8017 entrò lentamente nella galleria generando altro monossido di carbonio con immane sforzo per le pendenze del tracciato. In breve tempo i macchinisti iniziarono a perdere conoscenza. Uno di loro aveva tentato l’estremo tentativo far arretrare il treno quando aveva compreso la difficoltà e il pericolo. Il frenatore di coda però, visto l’indietreggiare del treno, come da procedura, frenò il convoglio che era uscito dalla galleria di sole due vagoni.
La gran parte dei passeggeri dormiva e questo fece il gioco del monossido di carbonio che in pochissimo tempo fece strage. Si stima che perirono fra le 500 e le 600 persone (secondo diverse fonti). Solo verso le 5 del mattino ci si rese conto della tragedia e i soccorsi furono lenti e non facili a causa di diversi corpi ormai divelti anche lungo lungo i binari della galleria.
In un periodo storico funestato da tragedia e morte in tutto il Paese questa notizia non ebbe molta diffusione. Gli stessi alleati, che governavano nelle regioni del Sud, preferirono non dare troppo spazio alla notizia per non abbattere oltre il già troppo basso morale della popolazione. Così la strage, avvenuta per una serie di errori, ma principalmente spinta dalla fame delle persone, finì dimenticata. Qualche piccolo trafiletto sui giornali in cui si parlava solo della guerra. Solo a fine della guerra negli anni ’50 si provò a fare luce su questa strage.
Resta nostro dovere ricordare però questo tragico evento che avvenne in un periodo ancora più tragico della nostra storia. Lo dobbiamo a tutte quelle vittime che furono inumate in una fossa comune senza un funerale, senza una lapide. La più grande tragedia ferroviaria d’Europa avvenuta a causa della fame e delle immani sofferenze degli italiani di quell’epoca deve essere raccontata per fare capire una volta di più cosa vuole dire vivere in una società avanzata come la nostra e in pace.
Fonti Consultate: Balvano 1944, il Titanic ferroviario – RAI, WikiCommons
Per approfondire: Balvano 1944, Indagine su un disastro rimosso di Gianluca Barneschi