Clima: COP26 o Flop26? Quale esito?
“Welcome to the Flop 26” aveva azzardato qualcuno. E già due settimane fa non era andato distante da quanto poi è successo. Ma si sa, la verità non è qualcosa di granitico e assolutamente oggettivo, per cui cercheremo di affrontare una narrazione il più possibile serena, anche se un po’ di delusione trasparirà da chi si attendeva notizie un poco migliori per la nostra casa comune. Il testo del “Patto sul clima” di Glasgow si può trovare a questo link. Vediamo ad esempio il punto 36, che sembra un aspetto cruciale e che viene salutato con un minimo di ottimismo:
“Calls upon Parties to accelerate the development, deployment and dissemination of technologies, and the adoption of policies, to transition towards low-emission energy systems, including by rapidly scaling up the deployment of clean power generation and energy efficiency measures, including accelerating efforts towards the phase-out of unabated coal power and inefficient fossil fuel subsidies, recognizing the need for support towards a just transition”.
Sembra sia la prima volta che, all’interno della stessa frase in un documento di programma condiviso sussistano le parole “uscita” (phase-out) e “carbone e fonti fossili”. Da un’analisi un pochino più approfondita, però, non è difficile notare che si parla solamente delle fonti fossili inefficienti, ed anche per il carbone si tratta solamente di quello non soggetto ad “abbattimento” (si potrebbe disquisire molto su questo termine). Inoltre, l’impegno è quello di “accelerare gli sforzi” per uscire dai sussidi alle energie fossili e supportare la transizione. Insomma, dalla mia pur povera analisi grammaticale, mi sembra che questo punto, decantato dal presidente della conferenza Alok Sharma, sia più un esercizio retorico che un cardine programmato.
Molti punti in programma sono stati procrastinati al prossimo COP, che si terrà l’anno prossimo a Sharm el Sheikh, non certo un bel modo per interiorizzare il senso di urgenza che ha fatto da sfondo a tutto l’evento. Probabilmente un fattore di innegabile complessità è l’affollamento istituzionale, con quasi 200 nazioni che si sono trovate a discutere su interessi inconciliabili, partendo da una consapevolezza e un’esposizione diversa al rischio, ma soprattutto da condizioni di sviluppo e di opportunità molto diverse.
Fa specie che persino l’Italia abbia fatto enorme resistenza (fonte) alla firma di un accordo che molti hanno rifuggito. L’accordo per porre fine, nel 2022, ai sussidi all’energia da combustibili fossili. Poi un comunicato stampa chiarisce che l’Italia si impegna a porre “fine a nuovi sostegni pubblici diretti al settore energetico internazionale dei combustibili fossili unabated entro la fine del 2022 eccetto in circostanze limitate e chiaramente definite che siano coerenti con un limite di riscaldamento di 1,5°C e con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”. Quindi si dà in realtà un anno in più di tempo, lasciando aperte alcune imprecisate eccezioni, forse le stesse che su questo tema hanno causato specifiche procedure di infrazione comunitarie nei confronti del nostro Paese. Stride certamente che la Nazione co-organizzatrice, uno dei Paesi più industrializzati e progrediti del Mondo, sia ancora così timido e timoroso rispetto a scelte di campo, che nel breve periodo non saranno sposate dai grandi inquinatori, India e Cina, piuttosto estranei anche durante questa tornata a ragionamenti virtuosi.
Un approccio deciso sarebbe però importantissimo rispetto a consumatori, investitori e share holder di fatto sempre più attenti a determinate dinamiche. A proposito di investitori, l’argomento è molto complesso, ma pare che sia stata proprio la parte finanziaria a mostrare il lato più deludente del summit. Infatti, nemmeno il breve video finale sul sito ufficiale del COP26 fa cenno a qualche accordo di sorta; ed il video presenta per dovere di casacca un quadro entusiasta di un evento che ha avuto la ribalta della cronaca, ha sollevato la sensibilità di molti, persone e soggetti con diversi interessi, walk of life, sensibilità, prospettive.
Eppure, l’impressione è che si sia buttata molta polvere sotto il tappeto, sforzandosi di indicare il famoso +1.5°C come obiettivo ancora reale, un obiettivo che raggiungeremo solamente se ci accorgeremo di aver sbagliato i calcoli. Un’alternativa virtuosa viene, almeno in parte, dal basso ed è fatta di consumatori e cittadini consapevoli: il Mondo sicuramente non cambierà grazie a loro ma, in ogni singolo microcosmo, diverrà un posto migliore e darà evidenza di chi sta facendo la cosa giusta.
La sentenza ai posteri o per intanto alla prossima COP.