Gran Paradiso: radiografia di un ghiacciaio
Il tema dei ghiacciai, dopo la tragedia della Marmolada, è un argomento che in questi giorni sta popolando e riempiendo i media. Come GeoMagazine.it ci siamo già occupati della materia tempo fa, anche prima di questa tragica notizia.
Ultimamente, come già per altri temi che trattiamo, riscontriamo spesso come la scienza diventi “pane per le tifoserie” in pasto ai social. I toni si accendono da chi sostiene una o l’altra teoria offuscando poi i veri problemi. Galileo Galilei e il suo metodo scientifico si rigireranno nella tomba. Ribadiamo invece l’importanza di trattare la scienza come tale e non come argomento da balera.
In questo articolo non vogliamo però entrare nel merito delle cause scatenanti dello scioglimento dei ghiacciai, di cui peraltro abbiamo già parlato in altri articoli, ma limitarci ad una osservazione del fenomeno. L’osservazione dei fenomeni fisici è il primo passaggio fondamentale del metodo scientifico ed è una cosa che possiamo fare tutti semplicemente guardando la natura. Anzi impariamo a farlo più spesso per capire meglio come evolvono i processi degli ecosistemi per le componenti abiotiche (rocce, acqua ecc) e biotiche (flora e fauna).
Prendiamo dunque il massiccio del Gran Paradiso che, toccando nella sua vetta i 4.061 m.s.l.m., si divide fra Valle d’Aosta e Piemonte all’interno dell’omonimo Parco Nazionale. Parco che quest’anno compirà 100 anni dalla sua fondazione.
Andiamo a inquadrare il versante nord del massiccio che ha una maggiore superfice coperta dai ghiacci. Scattiamo una foto dalla piazza centrale di Cogne verso il massiccio. Premettiamo che l’inverno appena trascorso è stato parco di precipitazioni come risulta dalle nostra analisi, infatti il massiccio evidenzia bene i ghiacciai che tengono a colorarsi di colore più scuro per via delle impurità che lo ricoprono. La poca neve che li ricopriva in inverno è sciolta rapidamente con le alte temperature che stanno caratterizzando questo periodo.
Per fare un confronto prendiamo uno scatto dell’agosto del 1951 realizzato più o meno dalla stessa posizione. Per capire qualcosa in più andiamo però a contestualizzare climaticamente quegli anni del dopoguerra. Dalla foto, oltre ad essere abbastanza evidente, la presenza di più ghiaccio si vede anche una spolverata di neve sui pendii più ripidi del massiccio. Dunque possiamo supporre ad una estate non troppo calda con nevicate a bassa quota. Dagli archivi storici scopriamo anche che l’inverno precedente fu un anno nevoso in questa porzione di Alpi, ma diciamo che un inverno abbondante da solo non è in grado di cambiare le sorti di un ghiacciaio. Sempre dagli archivi leggiamo invece che gli inverni precedenti (fine anni ’40) sono stati scarsi di neve e che le temperature anomale avevano portato ad un incremento dello scioglimento.
Diversi grafici elaborati da misurazioni sulle Alpi ci confermano che negli anni ’50 si concluse un periodo di ritiro dei ghiacciai alpini. La tendenza rallentò a cavallo degli anni ’60 e’70 per poi arrivare ai giorni nostri con evidenti segni di rapido arretramento. Tutto questo per dire che confrontiamo uno scatto nel passato dove era già in corso un periodo di ritirata dei ghiacci e questo è utile per capire quanto si è acuito il fenomeno negli ultimi anni. Non immaginiamo neppure potessimo fare confronti con scatti di qualità di fine ‘800 quale sarebbe l’evidenza.
A questo punto possiamo prendere le due foto e confrontarle. Elaboriamo le immagini focalizzandoci sul massiccio e utilizziamo dei software di trattamento immagini per estrapolare le informazioni che l’obiettivo ha catturato e che magari non sono così visibili ad occhio nudo. Facciamo dunque una sorta di “radiografia” dello stato dei ghiacci.
Dal confronto è evidente la differenza, seppur la qualità dell’immagine di oggi è molto più elevata ed evidenzi bene il ghiaccio, in entrambe gli scatti si vedono bene i limiti dei corpi glaciali e dei nevai che sono le parti più scure che vanno dal grigio al nero. Da un calcolo delle sole superfici (dalle foto non è ovviamente possibile misurare gli spessori), c’è una perdita di circa 1/4 di tutta la superficie glaciale sul massiccio. Tracciando successivamente delle linee sul corpo dei ghiacci si evince come negli anni ’50 tutte le lingue glaciali fossero pressoché collegate in un unico corpo. Oggi invece stiamo assistendo all’isolamento di parti del ghiacciaio che si ritirano nella propria nicchia di formazione.
Questi piccolo esperimento può anche essere la scoperta dell’acqua calda, ma è sufficiente un banale scatto per capire quanto i ghiacciai stiano subendo perdite importanti anno dopo anno in un trend che ormai prosegue inesorabilmente da vent’anni. In ogni caso lo scopo di questo articolo è semplicemente quello di ricordare come l’osservazione dei fenomeni fisici sia alla base del metodo scientifico e non delle chiacchiere da bar.
Fonti Consultate: Atlante Climatico della Valle d’Aosta, Società Meteorologica Italiana, Regione Valle d’Aosta