Un nuovo ponte per l’Europa, il Sabbioncello
Il mese scorso è stato inaugurato, in Croazia, il Pelješki most, ovvero il Ponte di Sabbioncello. Si tratta di un ponte stradale strallato, della lunghezza di circa 2400 metri, che unisce la costa croata con la penisola di Sabbioncello, consentendo in sostanza di by-passare quello che fu chiamato “corridoio turco” ovvero la zona di Neum. Neum è un piccolo paese, amministrativamente appartenente alla Bosnia Erzegovina, ed è l’unica propaggine che si affaccia sul mare, per la nazione bosgnacca. Gli 8 km di costa fanno della Bosnia Erzegovina uno Stato non “landlocked”, ovvero dotato di uno sbocco sul mare.
Il corridoio di Neum confina con la Croazia sia a Nord sia a Sud, e di fatto divide la maggior parte del Paese comunitario con la propria regione più meridionale, la Regione Raguseo-Narentana. Essa rappresenta il 3% circa della nazione croata sia in termini di superficie sia di popolazione. In questa regione meridionale si trova la bellissima città di Dubrovnik, l’ex repubblica marinara di Ragusa che dunque, di fatto, è territorialmente separata dal resto del Paese. Tecnicamente si potrebbe parlare di un vero e proprio exclave (termine tornato alla ribalta nel linguaggio bellico e geopolitico, e ci porta in questo caso a Kaliningrad).
Dal termine dei conflitti in ex Jugoslavia il corridoio di Neum costituisce una frontiera doppia, e ha sempre costretto chi viaggia in auto da Spalato a Dubrovnik ad attraversare questo lembo di terra e a sottoporsi al doppio controllo doganale. La frontiera di Neum, infatti, è frontiera nazionale ma anche comunitaria e con l’ingresso della Croazia nella “zona Euro” sarà dal 2023 un checkpoint ancora più delicato. Il corridoio di Neum aveva valore per ragioni storiche legate al controllo della penisola balcanica da parte dell’impero Ottomano che ha avuto influenza diretta ed indiretta sull’area per tutta l’Età Moderna, fino al termine della Grande Guerra.
Se si osserva la carta politica dell’Europa del 1815 è l’attuale Bosnia a costituire la zona di attrito tra l’Europa Orientale e quella Centrale/Occidentale. Quest’ultima si presenta frastagliata nella penisola italica e nei domini locali degli imperi germanofoni e, ad Ovest, con monarchie consolidate da secoli. L’impero Ottomano, e potremmo aggiungere anche quello russo, limitano ad Est la realtà continentale e si basano su paradigmi politici e religiosi affatto differenti. Il corridoio di Neum si scorge anche allora, come uno scherzo della geopolitica o più semplicemente come ultima finestra sull’Adriatico di un impero a cui certo non mancavano gli accessi ai mari. A sud di Neum la repubblica marinara di Ragusa, da sempre molto legata a Venezia, aveva esercitato il controllo politico di un’area compresa tra il Narenta ed il Drin fino ad inizio ‘800.
La Bosnia Erzegovina è oggi suddivisa in due entità politiche diverse, secondo gli accordi di Dayton del 1995, ovvero la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (anche conosciuta con il nome di Repubblica Srpska). Tale suddivisione ha avuto lo scopo di contenere i conflitti etnici, soprattutto quelli tra i serbi di Bosnia, di religione ortodossa, ed i musulmani bosgnacchi. Neum, in questa suddivisione, si colloca nel cantone “Erzegovina Narenta”, il cui capoluogo è la città di Mostar.
La radice “most” (ponte) riappare a ricordare il simbolo stesso della città, un monumento patrimonio dell’UNESCO ricostruito dopo la guerra in Bosnia ed al quale sono stati attribuiti tanti significati allegorici. I ponti, si dice in modo retorico e privo di profondità, uniscono. L’auspicio, sia per lo Stari Most sia per il Ponte di Sabbioncello è forse una chiave di lettura più serena di unione infrastrutturale, politica ma anche umana di quei luoghi.
Ricordo un’esperienza personale di circa 15 anni fa: dovevo recarmi in automobile da Bihaç a Neum. La popolazione locale mi consigliò vivamente di sconfinare in Croazia, per poi rientrare verso il litorale bosniaco, al fine di sfruttare vie di comunicazione più agevoli. Naturalmente non ascoltai i saggi consigli e mi inerpicai su strade improbabili che mi portarono a destinazione con qualche grattacapo. Mi auguro che anche sul lato bosniaco le strade siano migliorate ma soprattutto che i confini, necessari punti di discontinuità nel modello geopolitico contemporaneo, siano vissuti in modo più disteso con ponti di dialogo (e riecco la retorica solo poche righe sopra criticata) che consentano confronto e collaborazione.