Ingegneria e comunicazione
Qualche settimana fa ho partecipato ad un convegno di ITCOLD-YEF (associazione internazionale giovani ingegneria idraulica) dove mi è stato chiesto di relazionare brevemente riguardo ai problemi di comunicazione nell’ingegneria, soprattutto con riferimento alle barriere culturali date da culture diverse, ma anche considerando i problemi tipici di quei microcosmi a sé stanti che diventano i cantieri.
Il nostro blog GeoMagazine.it si occupa di comunicazione tecnica e scientifica ma, quando si cercano sui motori di ricerca “ingegneria e comunicazione” le prima pagine che compaiono sviliscono il concetto: “come fare a promuovere la tua attività di ingegnere?”, insomma si parla di marketing, ma non del grande tema di come far funzionare un team multiculturale, avendo cura di rispettare le qualità dei singoli, potenzialità e diverse sensibilità, mantenendo un fair play comunicativo che possa rendere sinergiche le interazioni. Non essendo un esperto in questo tipo di aspetti, a volte dirimenti per il successo di iniziative e gruppi di lavoro, mi sono però spesso posto il problema di come relazionarmi in maniera efficace ed appropriata con colleghi, collaboratori e clienti e di come le dinamiche relazionali possano cambiare ed essere affatto peculiari all’interno di cantieri remoti.
Nei cantieri remoti a cui ho preso parte a vario titolo, ho notato spesso delle dinamiche relazionali molto particolari, tipiche di quella che Michel Foucault definiva “eterotopia”, ovvero uno spazio con connessione debole con l’esterno, dove rapporti e valori sono del tutto diversi. Ho già parlato delle eterotopie portando in un articolo l’esempio del film di Di Caprio “The beach”.
In termini di relazioni, regole, gerarchie, ruoli un cantiere è a tutti gli effetti una piccola comunità, molto composita dal punto di vista etnico, mentre età e genere sono tipicamente sbilanciati. L’obiettivo comune della piccola comunità è quello di raggiungere l’avvio del cantiere, il commissioning (avvio del manufatto/impianto), la fine lavori, l’hand over (consegna) dell’opera costruita. È importante ricordare sempre questo obiettivo comune anche per avere un’accettabile chiave di lettura rispetto a regole, privazioni ed isolamento che si subiscono, gioco forza, durante la permanenza lavorativa. Del resto, il cantiere è quasi sempre presidiato da check point, non di rado sorvegliato con mezzi militari, ed è poco permeabile rispetto alle popolazioni locali ed a quanto succede “fuori”.
Di norma in cantiere la comunicazione avviene attraverso una “lingua franca”, che è la lingua madre di una percentuale piccola delle persone che stanno in cantiere. La lingua può essere l’inglese, lo spagnolo, il portoghese, ma spesso anche uno slang di cantiere che consente di comunicare tra persone che non si conoscono e che hanno degli obiettivi espressivi molto limitati (ad esempio, istruire un operaio a togliere i casseri in modo adeguato rispetto ai tempi di maturazione).
A livello personale l’equilibrio psichico, in un cantiere remoto, può essere messo a dura prova, e l’impressione di trovarsi in un “campo di lavoro” per certi versi apolide e non soggetto a regole ben intellegibili, è qualcosa che può prevalere su motivazioni ed obiettivi. Spesso i clichè non aiutano nelle relazioni, per cui trovare una donna di colore congolese che svolge il suo lavoro di geometra in maniera irreprensibile può all’inizio sorprendere, e non si può stupirsi se qualcuno, di contro, si aspetta un mangiatore di pizza che si esprime a voce alta e con le mani, al posto di un ingegnere italiano intimidito dal contesto ed armato delle migliori intenzioni.
Vincere i luoghi comuni ed i pregiudizi, nelle relazioni professionali, è un’impresa davvero ardua, che va però tentata per giungere ad una vera sinergia lavorativa, ad una fattiva collaborazione nel rispetto di ruoli e provenienze diverse.
Qualche consiglio anche a livello “introspettivo” mi sono sentito di darlo, a ragazzi potenzialmente protagonisti in diversi teatri di questo Mondo sempre più interconnesso, dove il business si muove globalmente e dove a diverso titolo e con diverse implicazioni dal punto di vista della presenza fisica, competenze ingegneristiche e comunicative devono essere implementate in modo efficace. Il proprio well being deve essere una prerogativa da considerare in ogni caso, classificando i propri bisogni ad esempio nella nota piramide di Maslow, e sapendoli valutare di volta in volta in maniera lucida.
È poi possibile muovere istanze, sollevare richieste in termini di esigenze logistiche, professionali, personali: ricordate come lo fece Trapattoni in una famosa conferenza stampa di fine secolo? Ci sono modi sicuramente più prestazionali, meno sanguigni e teatrali, ma questo modo di fare può senz’altro fornire un paradigma con cui confrontarsi. E con questo….”Ich habe fertig” (ho finito). Buon 2023 a tutti, dalla redazione di GeoMagazine, che vi augura un rapporto con la comunicazione scientifica e con le notizie più sobrio, riflessivo ed equilibrato che mai.