Leonardo da Vinci comprese la gravità come forma di accelerazione
Leonardo Da Vinci (1452-1519), per tanti aspetti, era secoli avanti rispetto ai suoi tempi. Fu scienziato, inventore e artista, un talento considerato uno dei più grandi geni dell’umanità. I suoi lavori destano stupore persino nella società moderna, come hanno dimostrato gli ingegneri del Caltech in un recente articolo pubblicato silla rivista Leonardo. Analizzando uno dei suoi taccuini, gli scienziati hanno scoperto che Leonardo aveva maturato una comprensione quasi perfetta della gravità.
GLI APPUNTI NEL CODICE ARUNDEL
Dagli esperimenti effettuati, individuati per la prima volta da Mory Gharib nel Codice Arundel, si evince che egli avrebbe voluto dimostrare che la gravità è una forma di accelerazione. Come? Disegnando triangoli rettangoli generati da particelle simili alla sabbia che fuoriescono da un barattolo, definendo l’esperimento “Equatione di Moti“.
Fu solo nel 1604 che Galileo Galilei teorizzò che la distanza percorsa da un oggetto in caduta fosse proporzionale al quadrato del tempo trascorso. E solo alla fine del XVII secolo Sir Isaac Newton espanse l’idea sviluppando la legge di gravitazione universale. Da Vinci purtroppo non aveva gli stessi mezzi: ad esempio, non aveva la possibilità di misurare con estrema precisione il tempo di caduta degli oggetti.
Nei documenti, da Vinci descrive un esperimento in cui una brocca d’acqua verrebbe spostata lungo un percorso rettilineo parallelo al suolo, scaricando acqua o materiale granulare (molto probabilmente sabbia) lungo il percorso. I suoi appunti chiariscono che era consapevole che l’acqua o la sabbia non sarebbero cadute a velocità costante, ma piuttosto avrebbero accelerato; ed era consapevole che il materiale avrebbe smesso di accelerare orizzontalmente, poiché non più influenzato dalla brocca, e che la sua accelerazione sarebbe avvenuta verso il basso a causa della gravità.
QUASI LA SOLUZIONE
Leonardo, secondo gli autori dello studio, raggiunse quasi la soluzione, ma utilizzò un’equazione sbagliata nel modo corretto. Egli credeva che la distanza dell’oggetto in caduta fosse proporzionale a 2t invece di essere, proporzionale a t2, dove t è il tempo. Non è chiaro se Da Vinci approfondì la questione, ma il solo fatto di aver prodotto un valore della costante gravitazionale G del 97%, così come accertato dagli studiosi, è qualcosa di sorprendente.
Nell’analisi il professor Gharib ha beneficiato della collaborazione di Chris Roh, professore alla Cornell University, e di Flavio Noca, dell’Università di scienze applicate e arte di Ginevra. Noca ha fornito traduzioni delle note italiane del grande scienziato (scritte nella sua famosa scrittura speculare per mancini che si legge da destra a sinistra) mentre il trio studiava attentamente i diagrammi del manoscritto.