Come si adatteranno ai cambiamenti climatici le foreste montane in Italia?
Secondo il Copernicus Climate Change Service (C3S), finanziato dall’Unione europea e implementato dall’ECMWF, la Terra ha appena vissuto i 3 mesi più caldi mai registrati. E’ il bilancio che si legge sul sito della WMO, l’organizzazione mondiale della meteorologia, determinato da temperature record della superficie marina per il terzo mese consecutivo e all’estensione minima storica del ghiaccio marino antartico.
Agosto è risultato il mese più caldo mai registrato, con una differenza significativa rispetto agli anni precedenti, pari a +1,5°C rispetto alla media preindustriale. In generale, l’anno in corso (da gennaio ad agosto) è il secondo più caldo mai registrato, superato solo dal 2016, quando si è verificato un potente evento di riscaldamento di El Niño. Le temperature globali della superficie del mare, invece, hanno stabilito un nuovo record storico, con una temperatura media mensile di 20,98°C ad agosto, oltre il record di Marzo 2016.
L’estensione del ghiaccio marino antartico è rimasta molto al di sotto della media, con una diminuzione del 12% rispetto alla norma, la più grande anomalia negativa registrata per agosto dagli anni ’70, quando sono iniziate le osservazioni satellitari. Anche l’estensione del ghiaccio marino artico era inferiore alla media, ma ben al di sopra del minimo storico di agosto 2012.
L’Organizzazione Meteorologica Mondiale utilizza i dati del C3S e di altri cinque set di dati internazionali per monitorare il clima e produrre rapporti sullo stato del clima. Secondo un rapporto di maggio dell’OMM e del Met Office del Regno Unito, esiste una probabilità del 98% che almeno uno dei prossimi cinque anni sarà il più caldo mai registrato, con il 66% di probabilità di superare temporaneamente un aumento di temperatura di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.
Questi dati indicano una crisi climatica in corso, con il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che sottolinea la necessità di un’azione immediata per affrontare la dipendenza dai combustibili fossili e ridurre gli impatti del cambiamento climatico. La comunità scientifica è preoccupata per la persistenza di queste condizioni climatiche estreme e i loro impatti sul pianeta e sulla vita delle persone.
A BORDEAUX SI VENDEMMIA DI NOTTE
Nella regione meridionale di Bordeaux, in Francia, la vendemmia notturna è diventata una pratica comune per ottenere vini di migliore qualità e risparmiare denaro. Questa tecnica non solo garantisce uve più fresche e gustose, ma aiuta anche a evitare i costi di refrigerazione, specialmente in un periodo in cui il cambiamento climatico sta causando ondate di calore importanti.
La raccolta notturna è effettuata alle prime ore del mattino quando le temperature sono più fresche, intorno ai 20°C, per mantenere la freschezza delle uve. Questa pratica è già diffusa in altre regioni vinicole con estati calde ed è destinata a diventare sempre più comune a causa dell’accelerazione del cambiamento climatico.
Raccogliere durante la notte consente di risparmiare energia, in quanto le uve sono naturalmente più fredde, e produce vini di migliore qualità grazie al minor trasferimento di colore dalla buccia al succo. Anche il livello di ossigeno nelle uve può essere ridotto durante il trasporto utilizzando il ghiaccio secco.
La tendenza si sta diffondendo nella regione di Bordeaux, principalmente per i vini bianchi e rosé, ma non è escluso che possa coinvolgere anche l’uva per i vini rossi, che rappresenta la maggior parte della produzione. L’aumento delle temperature a causa del cambiamento climatico sta influenzando il momento della raccolta, spingendo i viticoltori a raccogliere le uve in periodi più caldi rispetto al passato.
In sintesi, la raccolta notturna in Bordeaux è una risposta al cambiamento climatico che consente di produrre vini di migliore qualità, risparmiare denaro ed evitare gli effetti delle ondate di calore estive. Questa pratica è destinata a diventare sempre più comune nel settore vinicolo.
RIMODELLAZIONE DELLE FORESTE MONTANE IN ITALIA
A causa della crisi climatica, le foreste in Italia, in particolare nelle regioni montane, potrebbero subire cambiamenti significativi e difficili da riconoscere in futuro. Gli scienziati hanno mappato cinque aree montane vulnerabili per comprendere come il cambiamento climatico influenzerà questi ecosistemi vitali. Attualmente, le foreste svolgono un ruolo essenziale nella fornitura di risorse come il legno e i tartufi, nell’influenzare la qualità dell’acqua, nella conservazione del suolo e nella promozione della biodiversità. Tuttavia, esse stanno già subendo danni a causa di siccità, tempeste e incendi, e la crisi climatica potrebbe esacerbare queste minacce.
Gli scienziati hanno sviluppato modelli climatici dettagliati per comprendere come le specie arboree si adatteranno alle condizioni future. Hanno scoperto che molte specie vedranno una riduzione dell’habitat adatto, mentre alcune potrebbero estendere il loro areale, in particolare il larice europeo e il cerro.
In generale, è previsto che il limite degli alberi si sposterà verso l’alto, mettendo a rischio le specie con areali più piccoli e specifici. Anche gli ecosistemi di alta montagna, come i prati alpini, potrebbero diventare più rari poiché gli alberi invadono questi habitat.
Alcune specie potrebbero sopravvivere alla crisi climatica, ma potrebbero introdurre nuove vulnerabilità. Ad esempio, il pino marittimo, che potrebbe diventare più comune nelle foreste dell’Appennino meridionale, è più suscettibile agli incendi.
In generale, gli scienziati ritengono che queste previsioni possano aiutare a guidare le scelte di pianificazione, gestione e conservazione delle foreste, considerando l’impatto della crisi climatica su questi importanti ecosistemi. La ricerca è destinata a continuare, ampliando la sua portata geografica e temporale per affrontare meglio i cambiamenti climatici nelle foreste italiane.
TEMPERATURE RECORD INFLUENZATE DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI: LO STUDIO
Un nuovo studio condotto da Climate Central, un’organizzazione no-profit, ha rivelato che le temperature record registrate nell’emisfero settentrionale durante l’estate del 2023 sono state notevolmente influenzate dai cambiamenti climatici causati dall’uomo. L’analisi ha esaminato il periodo da giugno ad agosto di quest’anno e ha scoperto che le emissioni di gas serra prodotte dall’industria hanno reso molto più probabili le ondate di calore che hanno colpito l’Asia, l’Africa, l’Europa e il Nord America.
Oltre il 48% della popolazione mondiale, corrispondente a più di 3,8 miliardi di persone, è stata esposta a 30 giorni o più di caldo estremo amplificato dai cambiamenti climatici durante questi tre mesi. Almeno 1,5 miliardi di persone hanno sperimentato temperature estreme ogni giorno durante l’estate.
Lo studio si è basato su metodi scientifici revisionati da pari esperti ed è stato in grado di determinare la probabilità di temperature giornaliere in ogni paese del mondo con e senza l’inquinamento da carbonio attuale. Questo ha permesso di identificare l’influenza climatica o “impronta digitale” degli eventi meteorologici estremi.
Climate Central ha sviluppato un Climate Shift Index (CSI) che indica quanto le temperature diventino più probabili a causa dei cambiamenti climatici, con valori più alti che rappresentano un maggiore impatto. Ad esempio, un CSI di livello 3 indica che le probabilità di una temperatura specifica sono diventate tre volte più alte a causa del cambiamento climatico.
L’analisi ha rivelato che il 48% della popolazione mondiale ha vissuto 30 giorni o più di temperature con un CSI pari o superiore a 3 tra giugno e agosto. Inoltre, il 16 agosto 2023, circa 4,2 miliardi di persone in tutto il mondo hanno sperimentato il caldo estremo causato dal cambiamento climatico.
Il vicepresidente scientifico di Climate Central, Andrew Pershing, ha sottolineato che ci sono disparità tra i paesi responsabili delle emissioni di gas serra e quelli che ne subiscono gli effetti più gravi. Le nazioni meno sviluppate e i piccoli stati insulari stanno vivendo un aumento delle temperature che è da tre a quattro volte superiore rispetto ai paesi del G20 con le economie più grandi.
Lo studio mira a individuare l’impatto del cambiamento climatico su scala locale e globale per comprendere meglio come le persone stiano affrontando questa sfida e per identificare modi per mitigarne gli effetti.