Cibi ultraprocessati: il pericolo nascosto nei nostri piatti
Un team di ricercatori dell’Université Sorbonne Paris Nord e dell’Université Paris Cité, in Francia, ha presentato uno stato dell’arte nella comprensione degli impatti negativi sulla salute associati agli alimenti ultraprocessati, fornendo suggerimenti su come affrontare questa problematica. Nel loro articolo dal titolo “Alimenti UltraProcessati e la Salute Cardiometabolica: necessità di Politiche Sanitarie Pubbliche Immediate“, pubblicato sulla rivista BMJ, gli autori mettono in evidenza che, nonostante siano emerse evidenze negative sulla salute, gli sforzi volti a ridurre, modificare o eliminare tali prodotti alimentari non hanno ancora ricevuto il sostegno adeguato.
Le crescenti prove hanno associato il consumo di alimenti ultraprocessati a una serie di problematiche di salute, tra cui alterazioni dei profili lipidici, obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e persino la probabilità di aumentare il rischio di tumore del colon fino al 30%.
Tuttavia, i ricercatori notano che gran parte delle ricerche in questo campo si è concentrata principalmente sugli aspetti nutrizionali, prendendo in considerazione parametri come il contenuto di grassi, calorie, zucchero, sale e altre componenti. Questo approccio trascura spesso il grado di trasformazione degli alimenti, tralasciando una variabile chiave nella valutazione degli impatti sulla salute. Un esempio citato nell’articolo riguarda le zuppe di verdure, che possono apparire nutrizionalmente simili nei dati, indipendentemente dal fatto che siano fatte in casa o provenienti da prodotti industriali con additivi alimentari che non si trovano nella cucina domestica. Questa mancanza di distinzione rende difficile per medici e consumatori valutare la qualità nutrizionale e la salute di tali alimenti.
PIU’ DI SETTANTA STUDI EPIDEMIOLOGICI
Il documento fa riferimento a oltre 70 studi epidemiologici prospettici a lungo termine che hanno costantemente associato il consumo di alimenti ultraprocessati all’aumento di peso e a un maggiore rischio di malattie, in particolare condizioni cardiometaboliche. C’è persino una proposta di etichettatura degli alimenti ultra-processati in modo simile a quanto avviene con i prodotti del tabacco, per informare meglio i consumatori delle potenziali conseguenze negative.
Gli autori suggeriscono che affrontare questa problematica richiede una combinazione di politiche pubbliche e regolamenti governativi per promuovere la produzione e la disponibilità di alimenti minimamente trasformati, limitazioni nella commercializzazione di alimenti ultraprocessati e programmi educativi per sensibilizzare i consumatori. Inoltre, sottolineano l’importanza della ricerca indipendente, finanziata pubblicamente, per identificare le specifiche sostanze e processi responsabili degli effetti negativi sulla salute.
Va notato che, sebbene gli alimenti ultraprocessati abbiano una lunga durata di conservazione, ciò può portare al rilascio di contaminanti come ftalati, bisfenoli, oli minerali e microplastiche dagli imballaggi, con possibili rischi per la salute. Inoltre, gli additivi alimentari presenti in tali alimenti possono avere effetti dannosi, tra cui l’infiammazione e il danno al DNA. In particolare, possono influire negativamente sul microbioma intestinale, portando a problemi di salute.
Gli autori concludono affermando che è giunto il momento di informare i consumatori sugli effetti nocivi degli alimenti ultra-processati e che occorrono azioni immediate da parte dei governi e delle autorità sanitarie.
QUALI SONO I CIBI ULTRAPROCESSATI?
Secondo gli esperti della Harvard Medical School, il cibo viene classificato come non processato o minimamente processato quando si presenta nella sua forma integra, senza modifiche significative rispetto al suo stato naturale, con eventuali piccole alterazioni volte a renderlo adatto al consumo umano. Esempi di tali alimenti includono carote, mele e pollo crudo.
La lavorazione leggera dei cibi è comune ed è spesso limitata alla cottura, all’aggiunta di sale o olio. Quando questa lavorazione avviene su scala industriale, come nel caso dei legumi in scatola, i cibi vengono definiti come processati.
I cibi ultraprocessati, invece, vengono così denominati poiché contengono numerosi ingredienti aggiunti, come sale, zucchero, coloranti e additivi. Spesso vengono creati attraverso la trasformazione di sostanze estratte da alimenti più semplici, come grassi e amidi. Questa categoria comprende molti piatti pronti, bevande zuccherate, prodotti venduti nei fast food e numerosi snack confezionati, dolci o salati. In alcuni casi, possono rientrare in questa categoria anche alimenti erroneamente considerati salutari, come i cereali da colazione, gli yogurt alla frutta zuccherati o i cracker.
Riconoscere i cibi ultraprocessati può non essere sempre facile, ma una guida utile può essere l’etichetta presente sulla confezione. I cibi non processati o minimamente processati in genere hanno un’unica lista degli ingredienti che include l’alimento stesso (come ad esempio “carota” o “mela”). Se la lista degli ingredienti è più lunga, aumenta la probabilità che l’alimento sia stato sottoposto a lavorazione o ulteriori processi.
E’ bene informare che non tutti i cibi lavorati hanno lo stesso impatto sulla salute e non tutte le persone reagiscono allo stesso modo al consumo di tali alimenti.
Bibliografia: airc.it, British Medical Journal (BMJ)