Bilinguismo in Valle d’Aosta, storia di una protesta
L’articolo 38 dello Statuto Speciale della Regione Autonoma Valle d’Aosta recita così: “Nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana”. Questo articolo fu uno dei punti chiave, nell’immediato dopoguerra, per evitare che la piccola regione alpina, francofona da sempre (ma non vuole dire francese di nazione), prendesse altri destini.
I valdostani avevano subito forti soprusi durante il ventennio fascista e la misura era colma, ma grazie all’ottenimento dello Statuto Speciale, tramite una legge costituzionale del 1948, fu messo un punto fermo sulla tutela della cultura valdostana.
Il francese è stato da sempre la lingua ufficiale di alto livello della Valle d’Aosta, già a partire dal 1536, qualcuno dice ancora prima che la Francia stessa la ufficializzasse. Il francese in Valle d’Aosta era usato correntemente dai notabili, dal clero e in amministrazione fino ad inizio ‘900, ma è anche vero che la vera lingua popolare valdostana è il franco provenzale anche detto patois. Questa lingua è tutt’ora molto diffusa oralmente seppur non sia di fatto usata a livello di lingua scritta. Anch’essa in qualche modo viene fortunatamente tutelata dallo Statuto Speciale.
Dal 1948 ad oggi la Valle d’Aosta e la società sono cambiate molto e non è eresia dire che la regione si sia molto italianizzata negli ultimi decenni. Di certo gli scambi commerciali principali con il resto d’Italia hanno fatto sì che l’italiano diventasse lo strumento principale di comunicazione. Anche la massiccia immigrazione, iniziata dagli anni ’20 dalle altre regioni italiane, ha fatto sì che la popolazione si mescolasse molto. Oggi infatti il quadro “etnico” è molto eterogeno e bisogna anche dire che c’è una buona convivenza e le differenze di provenienza sono quasi impercettibili. Questo è dunque segno di una ottima integrazione e la società valdostana, in tempi di recrudescenze di odio, può essere da esempio su questo tema.
Certo è che la lingua francese, se è viva a livello legale, è purtroppo poco parlata quotidianamente. Qui la situazione è totalmente diversa rispetto all’Alto Adige dove bisogna dichiararsi se si è di lingua tedesca o italiana. La Valle d’Aosta da questo punto di vista è stata molto più aperta perché ha formato gli studenti sia in francese che in italiano senza una sorta di “apartheid”. Purtroppo se una lingua viene usata solo sulla carte diventa meramente un compito in classe per gli studenti che la iniziano a sentire come lingua straniera o non più come una delle due lingue madri.
Ma veniamo un po’ a quello che successe nel 1998, esattamente 50 anni dopo l’approvazione della legge costituzionale che poneva in Valle d’Aosta la parità fra la lingua italiana e quella francese. Fra il 1997 e il 1998 si stava configurando la riforma scolastica “Bersani” in merito alla maturità che prenderà il nome di Esame di Stato. Nasceva una riforma epocale per la scuola secondaria dove erano previste 3 prove scritte ed una orale. Tutte le materie erano oggetto di verifica a differenza di quello che avveniva in precedenza.
Questa riforma storica mise in condizione il legislatore regionale valdostano, che grazie all’autonomia e alla competenza in materia di scuola, di verificare la conoscenza della lingua francese. La lingua di Molière viene studiata dai ragazzi valdostani per 13 anni fino a fine ciclo di studi secondari con le stesse ore dedicate all’italiano. Il Governo Regionale propose così di inserire una quarta prova scritta e che la stessa contribuisse al punteggio in centesimi dell’Esame di Stato. Ricordiamo che in Valle d’Aosta per entrare nell’amministrazione pubblica è necessario sostenere l’esame di conoscenza della lingua francese. In occasione della riforma, inizialmente, non era previsto che la piena conoscenza della lingua francofona all’Esame di Stato esonerasse i valdostani da sostenere un nuovo esame di accesso ad un posto pubblico.
Scoppia così fra 1997 e 1998 una protesta studentesca. Si sa però, spero che nessuno si risenta, che spesso le proteste studentesche riguardano problemi scolastici sui “massimi sistemi” decisi da azioni di governo e quasi mai su problemi contingenti o locali. Non si dirà neppure una blasfemia se si afferma che una buona fetta di studenti aderivano a questi scioperi per “marinare la scuola”, ma questa volta invece questa riforma toccava direttamente gli alunni valdostani cambiando anche il loro futuro. Dunque la protesta si organizza con un comitato ed iniziano le auto-gestioni e le occupazioni degli istituti scolastici.
Il dibattito è forte e molto partecipato con migliaia di studenti che sfilano sotto il Palazzo Regionale ad Aosta. Si apre quindi un braccio di ferro fra studenti e amministrazione pubblica. In ballo sembra quasi ci sia il futuro del francese in Valle d’Aosta in una sorta di scontro culturale a volte strumentalizzato da entrambe le parti. Le posizioni sono diverse fra gli studenti, c’è chi non vorrebbe proprio far una prova di francese, c’è chi vorrebbe sostenerla fuori dai 100 punti dell’Esame di Stato, visto che il voto di maturità può essere determinante per l’accesso all’università, e c’è chi vorrebbe vedere riconosciuta questa conoscenza per i accedere ai concorsi pubblici. Ovviamente c’era anche una componente di studenti a cui la riforma proposta andava bene così.
La protesta si allarga ad un certo punto anche ai genitori e ad una buona parte del corpo docente. Fra quest’ultimi diversi presidi sono con gli studenti. Qualcuno parla di momento storico e almeno in Valle d’Aosta, ma crediamo in gran parte d’Italia, non si vedeva un fermento studentesco di tale portata da fine anni ’60. Lato governativo l’allora maggioranza autonomista difendeva la riforma e coglieva l’opportunità dell’Esame di Stato per verificare la conoscenza della lingua francese. Il dialogo fra le parti sociali si apriva e si chiudeva e spesso si barricava fra due muri. Dopo mesi di discussione il risultato sarà che l’Esame di Stato avrà una quarta prova e il voto della prova di francese farà media con la prova italiana all’interno dei 100 punti. Viene accettata la spendibilità per posti pubblici dove fosse richiesto solo il diploma, ma non per quelli in cui era necessaria la laurea. Una vittoria di Pirro per gli studenti, ma anche per gli amministratori? Difficile dirlo, ma in fondo forse vinse l’autonomia valdostana e la sua democrazia.
Nel frattempo il comitato continuò il suo lavoro anche dopo la promulgazione della legge regionale e così venne promosso e indetto anche un referendum abrogativo. La consultazione fu piuttosto fredda, perché seppur questa protesta avesse coinvolto tantissimi giovani valdostani il resto delle fasce sociali, non sentendosi toccati, non andò a votare (spinto anche da alcune forze politiche) e il referendum non raggiunse il quorum. Dunque la legge restava così.
A distanza di 25 anni da quegli eventi diciamo che fu un evento davvero epocale dove la democrazia e il dibattito, ma anche gli ideali, erano forti. Possiamo dire che di certo era importante tutelare il francese, ma era importante però rivitalizzarlo e quella poteva essere l’occasione per farlo, ma andò forse sprecata. In termini di spendibilità invece forse si poteva equiparare l’esame di stato per la parte francese ad una certificazione internazionale che avrebbe potuto dare una chance in più ai valdostani. Ma andò così. Dunque a partire dall’anno scolastico 1998/’99 gli studenti valdostani fecero così 5 prove all’esame di stato, una in più del resto d’Italia. Esami a parte però bisogna affermare con forza che la conoscenza di una altra lingua è una ricchezza così importante che in qualche modo meritava il clamore che pose quella protesta che era legittima, così come erano lettime in democrazia le altre posizioni. Quindi, con la lucidità di oggi, si può affermare che un piccolo pezzo di storia valdostana, ma non solo, fu scritto nel 1998 e ancora oggi questi eventi ci stupiscono se vediamo come la società attuale è ormai sempre più lontana da ideali e dalla partecipazione pubblica.
Di seguito alcuni documentari con le voci di allora e le voci di allora oggi: