Vinci? Sei italiano, se no austriaco!
Titolo provocatorio? Forse. In questi giorni abbiamo assistito alle vittorie di Jannik Sinner il campione di tennis che ha contribuito a riportare la Coppa Davis in Italia che mancava dal 1976. Per chi non segue questo sport, a sentire il nome di questo tennista, fin che non realizza che gioca per i colori dell’Italia, pensa tranquillamente che sia un giocatore non italiano.
Invece Jannik Sinner è nato in Italia, precisamente a San Candido a pochissimi km dal confine con l’Austria. C’è un particolare curioso proprio di questa piccola cittadina della Provincia Autonoma di Bolzano. Geograficamente fa parte dell’Austria così come dal punto idrografico perché le piogge che cadono su quei territori finiscono nel bacino del Danubio e poi andranno nel Mar Nero. La storia invece è andata diversamente e oggi questo Comune fa parte dell’Italia.
Tralasciamo però un attimo la geografia e torniamo a parlare del fenomeno mediatico scaturito dopo le vittorie di questo giovane e talentuoso ragazzo altoatesino o meglio sudtirolese. Certo ai più subito suona come nome di un tedesco, ma poi in fondo fa vincere l’Italia e quindi a furor di popolo si dimenticano tante cose, fra cui tante battute “non è italiano“. Le gioie sportive lo tramutano per tutti in vero italiano, poco importante se non si chiama “Mario Rossi”. Il carro del vincitore cancella tante altre uscite fuori luogo come “se volete stare in Italia dovete parlare italiano“, oppure “se volete tanto sentirvi austriaci, basta varcare il confine“.
Abbiamo spesso trattato su queste pagine il tema delle minoranze linguistiche, dei casi dell’Alto Adige o Sued Tirol, qual dir si voglia, oppure della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e quindi questo tema ci è molto sensibile. Torniamo quindi a ripetere con forza che un Paese non si identifica con una lingua, così come un cittadino. L’esempio lampante torna sempre alla Svizzera, dove si parlano principalmente tre lingue: tedesco, francese ed italiano, ma nessuno svizzero si sente ne tedesco, ne francese, ne tanto meno italiano. Dopo questo esempio la discussione potrebbe finire qui, ma in realtà si finisce sempre al miope discorso “sono in Italia e devono parlare italiano“. Per fortuna ci viene in soccorso la normativa che ci dice che nel nostro Paese esistono diverse lingue minoritarie e sono tutelate e la cosa è rafforzata dai tre statuti costituzionali di Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige dove la tutela linguistica è indicata chiaramente.
In merito agli atleti italiani provenienti dall’Alto Adige le domande sul sentirsi o meno italiani sono ormai un “refrain” sentito più e più volte. Anche importanti giornali e blog sono caduti sempre su questa questione con articoli di scarso livello. Qui ne abbiamo un esempio di un pezzo che applica il concetto errato di lingua-paese. Certo i sentimenti di appartenenza che si vivono da quelle parti sono ancora oggi contrastanti, ma non possiamo imporre a nessuno cosa voglia sentirsi, anche se la sua carta di identità recita “Repubblica Italiana”. La storia controversa di quelle aree è molto recente e certe ferite sono ancora aperte, ma molti, di questo, non vogliono assolutamente sentirne parlare. Udiamo spesso queste frasi “Quando vado in Alto Adige, percepisco che la gente non si sente italiana” oppure “Quelli lo fanno a posta a non parlare italiano“. Sentendo raccontare queste affermazioni che fanno prevalere un senso finto-patriottico, ma che non lasciano spazio a nessuna empatia da parte di che le cita. Di certo non cela il mal conoscere la storia di questi luoghi, che non sono solo l’Alto Adige, ma anche la Valle d’Aosta o altre zone d’Italia. Anzi queste situazioni hanno spesso portato ad inasprire le relazioni. Va detto che il non conoscere la storia e le peculiarità del nostro Paese nascondono uno scarso amore per il nostro Paese e la sua particolare storia fatta da sempre di crocevia di culture. Altro che patriottismo.
Inoltre, in queste discussioni, molti dimenticano cosa avvenne nella storia recente d’Italia, quali furono le sofferenze che molte famiglie subirono nel vedere cancellata la propria cultura in favore di una cultura unificatrice promossa dal fascismo. La cultura unificatrice, per prima cosa non si fa con la forza e abbiamo visto bene a cosa porta, seconda cosa valorizzare le differenze spesso è un vantaggio per tutti. Senza però entrare in dettaglio nella storia, forse dovremmo cercare di informarci di più e capire che forse il mondo non è fatto di solo bianco o nero, ma ha molte sfumature che molti non colgono o non vogliono cogliere. Siamo culturalmente in un periodo in cui si parla molto di diritti e di riconoscimenti, ma seppur difendiamo, giustamente, tante minoranze, molti poi cadono sul “ma quelli non sono italiani“. Molti nostri connazionali usano il dialetto e non è l’italiano, perché sentono quello come lingua madre, ma non per questo devono essere giudicati o non considerati italiani. Poi, certo, quando ci si interfaccia fra persone di lingue/dialetti diversi è giusto trovare un modo “universale” per esprimersi che è anche cortesia.
Chiudiamo la riflessione sulle nostre autonomie in un momento storico in cui le differenze etniche nel mondo creano ancora pesanti conflitti. Le autonomie speciali italiane sono state studiate in tutto il mondo e prese in esame per risolvere alcuni conflitti come quello in Bosnia. Grazie a questi istituti si è riuscito a tenere il nostro Paese unito dopo l’uscita da un duro conflitto non solo bellico, ma anche culturale. Ci permettiamo forse solo una piccola critica al sistema altoatesino che per un certi versi è un po’ divisivo, ed è il fatto che il cittadino debba scegliere la lingua madre se italiana o tedesca, mentre ad esempio la Valle d’Aosta equipara italiano e francese allo stesso livello e viene insegnato agli studenti fin dalle elementari in ugual misura.
Credo che possiamo però oggi tranquillamente affermare che un Paese moderno, culturalmente avanzato, potrebbe rivalutare se certe divisioni territoriali siano ancora attuali. Si sa certe scelte si devono confermare tutti i giorni, ma si sa anche che stiamo (o stavamo) andando verso una Europa senza confini. In ogni caso se qualcuno non si sente comodo nella veste in cui è stato calato dalla storia, deve essere libero di decidere. La Scozia è un esempio. Qualche anno fa un Referendum ha chiesto agli scozzesi se dovessero restare nel Regno Unito o meno e quindi perché la cosa non potrebbe aprire delle riflessioni anche a casa nostra??! Quindi chiudiamo con un’altra provocazione dopo la vittoria di Sinner ” So jetzt Sued Tirol ist Italien?”.