Gentrificazione e il fenomeno degli affitti brevi
Come cambiano le città, come si modifica il tessuto urbano a fronte della realizzazione di lavori di infrastrutturazione e della costruzione di nuove soluzioni abitative e delle ristrutturazioni dei centri storici?
Già nel 1964 la sociologa britannica Ruth Glass identificò con un affascinante neologismo, gentrification, l’articolato processo che comporta il miglioramento fisico del patrimonio immobiliare, il cambiamento della gestione abitativa da affitto a proprietà, l’ascesa dei prezzi con il conseguente allontanamento o sostituzione della popolazione operaia esistente da parte delle classi medie.
Nel 2014 feci un viaggio, una volta tanto per villeggiatura, a San Francisco. Per le strade dritte ma altimetricamente sinuose di quella magnifica città, attraversando i quartieri del centro si percepiva l’eco dell’unaffordable, con le case eleganti e lussuose, in diversi stili architettonici, che potevano essere ambite solo da persone con redditi a cinque zeri, mentre i clochard erano presenze tutt’altro che sparute proprio lungo quelle strade per il resto così asettiche.
La ghettizzazione dei ceti meno abbienti nelle zone residenziali, poco attrattive ed ancor meno servite, è una dinamica complessa ma ha a che fare in modo diretto e cruciale con investimenti di istituti finanziari nel real estate, con la riqualificazione urbana di stampo liberista, con la poca regolamentazione che impatta su questi aspetti territoriali, ed inevitabilmente anche sociali.
ll processo di gentrificazione deriva da una crescente attrazione verso un’area da parte di persone con redditi più elevati; una nuova alta borghesia che si riversa in zone specifiche da città, paesi o quartieri vicini. Questa dinamica richiama maggiori investimenti e, in un circolo vizioso o virtuoso che dir si voglia, porta ad un’infrastrutturazione più robusta, all’ulteriore sviluppo immobiliare e richiamo di nuovi residenti dell’upper class, con prezzi degli immobili che divengono ben presto proibitivi.
Nell’ultimo decennio la gentrificazione ha forse cambiato pelle, manifestandosi in una forma un po’ diversa. La possibilità di affittare per brevi periodi le unità immobiliari, soprattutto le cosiddette seconde case, ha portato piccoli investitori (li chiamano “retail”) a reinventarsi albergatori, ovviamente come occupazione ancillare rispetto al loro lavoro abituale di impiegati o liberi professionisti. Gli affitti sono gestiti, come è noto, da piattaforme dedicate a cui i gestori degli spazi si affiliano, condividendo gli introiti. Questo fenomeno, rallentato per un solo batter di ciglia in occasione della pandemia, ha richiamato ovviamente investimenti importanti, anche di società più strutturate. Non è un mistero che ci siano pratiche opache di professionisti dell’immobiliare in queste attività teoricamente nate “per arrotondare” (Fonte).
La possibilità di accedere a servizi di alloggio a prezzi attrattivi, la bassa professionalità e la fiscalità vantaggiosa, oltre che la disponibilità di lavoro a basso costo per il riassetto delle camere, hanno portato ad un fiorire di queste nuove imprese familiari, con flotte di appartamenti che escono ogni anno dal circuito degli affitti canonici, e vengono proposti sulle piattaforme Airb&b, Booking e poche altre.
In città particolarmente vocate al turismo, una possibilità di questo tipo diviene deflagrante: a Roma, Venezia e Firenze le famiglie e gli studenti fuori sede non trovano alloggio a prezzi ragionevoli, ma ormai anche in città di provincia si sente dire: “preferisco tenermi l’appartamento libero, ed affittarlo per qualche giorno sui portali”, per poi vedere costantemente lenzuola stese nell’abitazione dalla madre pensionata, ed un via vai di persone che certamente non disturbano, ma che non vivono gli spazi della comunità.
Le comunità di quartiere, dunque, si snaturano e questo fenomeno di nuova gentrificazione ed overtourism, si porta dietro una serie di conseguenze: la complessa gestione dei rifiuti, ad esempio, ma soprattutto la ghettizzazione della classe media in zone meno servite, mentre nei centri città piccole imprese alberghiere sono gestite da imprenditori improvvisati.
Dal punto di vista normativo, ovviamente, il quadro è molto frastagliato e mi risulta che in Italia, a parte un blando intervento sulla “cedolare secca”, non si sia voluto infierire sul tema. A livello locale mi è sembrata coraggiosa la provocazione del sindaco di Firenze che, per le seconde case, ha annullato l’Imposta Comunale sugli Immobili per i proprietari che affittano a lungo termine. Qualcosa di più, a livello sistemico, andrà fatto per evitare che proteste sullo stile di Alicante (in una foto che ho scattato quest’estate) arrivino ad attriti ben maggiori tra residenti esasperati e piccoli proprietari convinti di portare avanti solamente un lavoretto per arrotondare.