A Filippo Argenti
L’evoluzione della società moderna, rispetto alle epoche passate, ha portato alla ribalta l’uso della diplomazia e, a livello internazionale, è la politica delle relazioni che cerca di prevalere rispetto all’uso della forza. Questo paradigma, però, fa fatica ad imporsi e troppo spesso vincono invece la prepotenza e la legge del più forte.
Dal punto di vista letterario, la persona che più richiama il modello dell’iracondo e della risoluzione violenta delle dispute è sicuramente Filippo Argenti, protagonista dell’ottavo canto dell’Inferno di Dante. Il fiorentino è collocato proprio nel cerchio degli irosi, una delle declinazioni dei peccatori incontinenti. Non è un mistero che il punto di vista di Dante non fosse del tutto obiettivo, e derivasse probabilmente da questioni personali. Forse uno schiaffo assestato all’Alighieri dal più anziano Filippo, magari delle divergenze familiari per questioni relative ad ammende o sanzioni elevate dal Comune di Firenze. Chissà se, accanto all’astio per motivi così specifici, ci fosse una rivalità politica. Forse l’Argenti, esponente di una famiglia fiorentina ben in vista, parteggiava per i Guelfi Neri e dunque era inviso a Dante anche in virtù di differenti modi di intendere la società.
L’incontro con Filippo Argenti è, non a caso all’Inferno, ancor più di un incubo spaventoso per Dante, che si vede parar davanti questo brutto ceffo. Egli stesso lo riconosce tosto: “ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto“. Dante sembra covare, mettendolo in rima, un certo sentimento di vendetta rispetto all’Argenti che, faccia brutta, ha avuto la sfrontatezza di minacciarlo e di confermare la sua indole disgraziata anche nella condizione di dannato. “E io: Maestro, molto sarei vago/ di vederlo attuffare in questa broda“.
Virgilio rincuora Dante che assiste, nel più classico dei contrappassi, al pestaggio dell’energumeno ad opera degli altri dannati: “A Filippo Argenti“, ovvero addosso a questo spirito fiorentino “bizzarro”, come “iracondo e bizzarro” lo definì anche il Boccaccio, nell’ottava novella della nona giornata del Decameron. Una novella quasi distopica, popolata da personaggi della Commedia, dove compare un altro personaggio dantesco, ovvero Ciacco, che fa leva sullo spirito violento e sbrigativo di Argenti per vendicarsi di una beffa subita di Biondello. Proprio lo stesso Argenti non ci pensa due volte a picchiare a sangue l’esile Biondello, in realtà senza un reale motivo.
Appare evidente come, in determinati contesti e sul piano della prepotenza, non sia certo l’argomentazione, l’abilità linguistica o retorica a prevalere. Un cantautore, chiosando l’episodio dantesco fece dire ad Argenti: “le tue terzine sono carta straccia, le mie cinquine sulla tua faccia lasciano il segno”, proprio per segnare l’insanabile cesura tra il mondo razionale della cultura, e quello imponderabile e sbrigativo dell’ira, che spesso ha la meglio.
Nel Mondo contemporaneo, purtroppo, la tendenza a risolvere le divergenze con l’uso della forza non è tramontata: gli attriti geopolitici e le scaramucce che degenerano in conflitto etnico o economico, sono sempre più numerose e rumorose, e non possiamo sperare in una tardiva condanna all’altro Mondo per mettere fine a questa posa di prevaricazione.