Published On: Ven, Mar 21st, 2025

“Do u…t des” o “Do u… speak English”…

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La varietà espressiva può muovere dall’utilizzo di locuzioni dialettali, gergali, per spingersi in contesti più raffinati al latino, mentre l’inglese è oramai endemico nella vulgata professionale. Ma questo florilegio di alternative, possibilità, opzioni comunicative non sempre è visto di buon occhio dai propri interlocutori, ed anzi dà sporadicamente adito a risposte piccate, od a sorrisi allusivi sull’opportunità o meno dell’introduzione di termini spuri, inglesismi spesso rabberciati, citazioni pseudo-erudite.

Confesso che personalmente mi sento oggetto (dire vittima suonerebbe parossistico) di attacchi su questi temi, perchè quando mi esprimo sono alla ricerca di una matrice comunicativa artatamente procace, che stimoli un dialogo sano passando dalle parole ai fatti (άμ’ έπος άμ’ έργον se mi è concesso), da concetti astratti ad espressioni rivolte al concreto, nel lavoro, negli affari, nelle relazioni.

Ebbene, questa concessione stilistica è vissuta dalla controparte a volte con fastidio, spesso addirittura con dileggio. La cosa mi porta a mettere in discussione il mio modo di esprimermi, introducendo un elemento di moderata autocensura.

Il tarlo che mi tormenta, in questo caso, è però fastidioso; mi chiedo: i florilegi linguistici, la varietà affatto contraria al purismo, l’introduzione di inglesismi ad ogni piè sospinto danno adito all’idiosincrasia da parte di un interlocutore per lo più tradizionalista ovvero pigro o ancora sobrio, o alle volte semplicemente sguarnito? Chissà.

La risposta, caro amico, non soffia nel vento, ma forse sta semplicemente nel motto: est modus in rebus.

About the Author

- ingegnere per l’ambiente ed il territorio, laureato a Trento, si è sempre occupato di progettazione idroelettrica, mercato dell’energia, idraulica ed ambiente. Ha numerose esperienze lavorative internazionali (Brasile, Africa centrale, Australia) ed una passione per la geografia e la cultura classica. Questa passione lo ha portato a laurearsi in geografia nel 2020 con una tesi sugli itinerari culturali. Velleità da periegeta e da geografo naïve non lo distolgono dal grande obiettivo di sensibilizzare le persone rispetto al tema dell’energia, della sua produzione, del risparmio ed in un’ultima analisi della strategica importanza che questa commodity riveste. Il progetto GeoMagazine lo ha convinto sin dall’inizio e, oltre che alla produzione di articoli tra scienza e contaminazioni umanistiche, a rivestire il ruolo di editore di questa pagina di comunicazione scientifica ed ambientale, con l’obiettivo di renderla un canale di informazione imparziale ed obiettivo, lontano da semplificazioni, sottintesi e qualunquismo. Un canale che si rivolge ad un pubblico variegato in termini di età e formazione, ma che si pone una regola ferrea: analizzare i problemi, suffragarli, e spiegarli in modo semplice. Lo story telling che si può invece scorgere negli articoli più leggeri vuole essere una posa di positivismo ed un’ispirazione verso mondi inesplorati, fuori e dentro di noi.