Le Regioni italiane sono una invenzione recente. Forse un fallimento?
In questi ultimi anni abbiamo sempre di più assistito ad una “regionalizzazione” del nostro Paese. Spinte pseudo-federaliste e campaniliste hanno portato l’Italia ad essere uno Stato fatto da 20 “governatorati”. Da notare che il nome governatore della Regione, che oggi va molto di moda, lo abbiamo importato dagli USA, ma in realtà il nome corretto di chi amministra questo territorio è Presidente. Potremmo quasi rispolverare la cinquecentesca “Cuius Regio, Eius Religio” per le nostre Regioni. Norme diverse, interpretazioni diverse, modi diversi di gestire porzioni di territorio e chi più ne ha più ne metta. Questi limiti li abbiamo ben visti durante la pandemia, con gestione dell’emergenza e risultati molto diversi da Regione a Regione.
Tutte queste nuove “caratterizzazioni” fanno si che l’Italia sia diventata un caleidoscopio di territori che ci riportano un po’ al tempo dei comuni o agli stati pre-unitari. Se in termini di usanze locali è sacrosanto tutelare la diversità, lo è meno quando i cittadini di una Regione ricevono un trattamento diverso di quello della Regione vicina. Così come diventa difficile per una impresa o un professionista che lavora in tutta Italia e trova regole diverse che non fanno che aumentare la burocrazia. Bisogna dire che a volte è solo grazie alle normative europee che certe regole vengono un po’ standardizzate ed evitano una totale babele legislativa.
Poco spazio al dubbio che questa differenziazione millantata negli anni come federalismo non ha di certo portato grandi benefici ai cittadini. Inoltre chi era indietro è rimasto indietro e chi era davanti non è di certo migliorato. Anzi avendo svuotato di poteri le Province, istituzione con una storia più profonda delle Regioni e più vicine ai cittadini, si è creato un vuoto fra la gente e un ente più vasto come l’ente regionale.
Andiamo però a vedere un po’ di storia di questa divisione amministrativa. La prima volta che apparve il concetto di Regione (Regio) fu al tempo di Augusto. L’Italia continentale (esclusa Sicilia e Sardegna) fu divisa in 11 Regio. Undici spazi che poco avevano a che fare con le Regioni odierne ad eccezione di qualcuna come l’attuale Emilia-Romagna. Queste Regio non avevano una funzione politica, ma servivano solo per agevolare censimenti e la leva. Le due isole invece restavano in status di Province e quindi ad un livello secondario rispetto all’Italia continentale tutta assoggettata a Roma.
Dopo questa suddivisione augustea, che come dicevano corrisponde poco alle attuali divisioni amministrative, si deve aspettare l’Unità d’Italia nel 1861 per rivedere un’abbozzo di Regioni. Nei quasi 2 millenni trascorsi l’Italia è stata sminuzzata e soggetta a diversi conquistatori fino a cementarsi in piccoli stati, in cui forse solo la Toscana ha mantenuto nel tempo il suo territorio come quello dell’attuale Regione. Raggiunta l’unità, due giuristi dell’apparato statale, per agevolare le statistiche del Paese pensarono ad una suddivisione regionale. Nessun potere politico era affidato a queste suddivisioni geografiche, anche perchè non era certo quello certo il momento di ritornare agli stati pre-unitari.
Probabilmente a causa di diverse velleità indipendentiste, solo dopo la seconda guerra mondiale e il regime fascista e al fine di frazionare il potere centrale, furono pensate le Regioni d’Italia così come le abbiamo oggi e inserite Costituzione nel 1948. Quattro Regioni Autonome divennero subito operative, mentre il Friuli-Venezia-Giulia solo dal 1964 (il territorio completo fu definito solo dopo il trattato di Osimo). Bisognerà aspettare solo il 1970 affinché tutte le altre diventassero degli enti dotati di potere amministrativo.
Anzi la nascita delle Regioni creò non poche tensioni nel Paese, in particolare per la scelta dei capoluoghi regionali, che sarebbero diventati nuovo centro di potere. La situazione più clamorosa si ebbe a Reggio Calabria. Al posto della città dello Stretto fu scelta Catanzaro come capoluogo è così scoppiarono dei tumulti che per diversi mesi vivere lo Stato scontrarsi con i cittadini. Ci furono vittime e l’esercito intervenne per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale. Qualcosa di simile, ma in tono minore, successe anche nella spartizione dei poteri regionali abruzzesi fra l’Aquila e Pescara. Dobbiamo anche notare inoltre che negli anni i confini delle Regioni sono stati (e sono) fluidi, perché quasi ogni paio di anni ci sono stati osmosi di comuni da una regione all’altra (uno degli ultimi e più clamorosi è il Comune veneto di Sappada che è passato al Friuli-Venezia-Giulia – 2017).
La prossima affermazione che dirò per qualcuno sarà una blasfemia, ma anche la cucina regionale è una invenzione molto recente. L’Italia era un Paese molto povero e di certo non c’erano la varietà di cibi che propinano quotidianamente in TV o sui social. Gli ingredienti della cucina erano scarsissimi e la carne era solo per pochissimi, ma oggi raccontiamo, travisando il passato, che ogni luogo serbasse ricette secolari pantagrueliche.
In un mondo globale è sicuramente importante salvaguardare le peculiarità locali, ma se questo non avviene a discapito dei cittadini. Abbiamo competitor a livello economico come Cina, India ecc e questo regionalismo non aiuta certo l’economia nazionale ad essere competitiva. Fanno anche sorridere spesso di vedere in alcune fiere internazionali, le Regioni presentarsi da sole e spaiate, come se non fosse stra-noto che è il made in Italy e il Paese nella sua interezza che attirano gli stranieri. Provate a chiedere ad uno straniero in vacanza in Italia fino a quante Regioni riesce a contare.
Dunque alla luce di quanto sopra una domanda sorge spontanea. Siamo sicuri che il regionalismo funzioni o non sia un fallimento e una zavorra per il Paese? Si è tanto parlato delle Province come il male peggiore d’Italia, ma forse non era lì che bisognava agire. Si è quindi preferito forse tutelare queste forti nicchie di potere locale (vicino ma lontane) e spesso fortemente in piedi perchè sostenute da campanilismi anacronistici? A voi le considerazioni.
Fonti Consultate: La Stampa, Denominazione di Origine Inventata (Libro)