I destini delle altre capitali d’Italia
Roma è stata considerata da sempre la capitale naturale della Penisola. I fasti dell’epoca romana, quando Roma era capitale di mezza Europa e di tutto il Mediterraneo, si sono tramandati nella storia. Storia che ha consegnato ai posteri l’appellativo di “città eterna“. L’attuale capitale d’Italia, però, ha avuto alterne fortune passando da capitale di un impero con oltre 1 milioni di abitanti fino a ridursi, per tutto il medioevo, ad un modesto borgo con circa 30.000 persone. Roma resterà in termini di abitanti una modesta una città, anche dopo essere tornata capitale, ma esploderà nuovamente dagli anni ’30 in poi.
La storia dell’Italia unita è molto più recente delle peripezie storiche di Roma e dal 1861 ad oggi diverse città si sono alternate a capitali ufficiali e de facto.
Torino figura come la prima capitale d’Italia, perché sostanzialmente era la capitale del Regno di Sardegna e città natale di
Vittorio Emanuele II. Il piccolo regno si trovò fortuitamente e per diversi eventi rocamboleschi all’appuntamento con la storia per fare da collante ad una nazione nascente. Celebre il discorso al Parlamento di Torino di Vittorio Emanuele, due anni prima dell’unità, all’avvento della seconda guerra di indipendenza “…non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi”.
Andiamo però, un attimo indietro nella storia. I conti di Savoia che controllavano i territori a cavallo delle Alpi occidentali, trasformarono la loro contea in regno solo nel 1720. Per varie vicende storiche gli fu concesso il Regno di Sardegna, che estese poi il nome a tutto il territorio sulla terraferma conquistato dal casato sabaudo. La corona del regno sardo aveva però per capitale Cagliari e non Torino, ma la città insulare fu subito snobbata, poichè il Piemonte era il centro economico e strategico delle attività del regno. Non ci fu mai un documento che di fatto fissava la capitale a Torino, dunque giuridicamente restò sempre Cagliari. Quindi tecnicamente la prima capitale d’Italia sarebbe dovuta essere proprio la città sarda.
Torniamo però al 1861, all’unità d’Italia. Il 17 marzo di quell’anno nel Parlamento di Torino si firma il primo atto dell’unione a seguito delle annessioni che però lasciavano ancora fuori il Triveneto, sotto dominio austriaco e il Lazio sotto il Papato. Nel documento si parla di Re Vittorio Emanuele II che assume per se e la sua dinastia il titolo di Re d’Italia, ma nessuna menzione si fa su Torino e sulla capitale. Qualche giorno dopo, Cavour, capo del governo e stratega dell’unificazione, fece un altro memorabile discorso al Parlamento di Torino: “Roma dev’essere capitale d’Italia, non solo per la sua storia, ma anche perché se Roma non fosse riunita all’Italia come sua capitale, l’Italia non potrebbe avere un assetto definitivo, la pace non si potrebbe considerare come definitivamente assicurata”.
Con quel discorso il destino che aveva fatto brillare Torino per secoli fu segnato. Roma non era però ancora parte del Regno e si avviò così una sorta tappa di avvicinamento.
La Francia aveva aiutato il Regno di Sardegna nella guerra contro l’Austria, ma i transalpini allo stesso tempo, a seguito dell’escalation di annessioni italiane, si erano messi a tutela del Papa per evitare che Roma cadesse nella mani del neonato Regno d’Italia. La convenzione di settembre, firmata a Parigi nel 1864, comportava il ritiro delle truppe francesi dal Lazio e la rinuncia del Regno d’Italia a Roma. Il sogno di Cavour, venuto a mancare 3 anni prima, sembrava così spezzato. Si valutò così il trasferimento della capitale a Firenze o a Napoli, ma prevalse la scelta per la città toscana.
La notizia si sparse a Torino e scoppiò una rivolta. Se i torinesi erano coscienti che la città sarebbe rimasta una capitale provvisoria, in attesa di Roma, non tolleravano il fatto di spostarla a Firenze. Quell’atto, dopo secoli di splendore, avrebbe significato una definitiva decadenza della città ai piedi delle Alpi. La rivolta in Piazza San Carlo, fu sedata nel sangue. 55 vittime e oltre 100 feriti. Un vero e proprio eccidio. Nonostante quel grave episodio, nulla cambiò nella scelta del trasferimento.
Così il 5 febbraio 1865 Firenze diventa capitale d’Italia e tutto l’establishment torinese si sposta in Toscana. Firenze
vide così un periodo di risanamento e di nuovi interventi strutturali. All’ingegnere e architetto Giuseppe Poggi fu affidata la riqualificazione della città. La piccola ex capitale del Granducato di Toscana necessitava si essere completamente ripensata. I lavori da svolgere furono molti fra cui la realizzazione di nuovi uffici e alloggi per gli amministrativi e altre strutture per i ministeri. Inoltre furono erette grandi opere idrauliche per proteggere la città dallo straripare dell’Arno. Fu anche pensata una nuova stazione e ci furono degli abbattimenti per creare nuovi viali ispirandosi alle altre capitali europee. I lavori durarono 5 anni, ma la storia fu beffarda anche per Firenze.
Nel frattempo, la Francia, nel 1870, era impegnata nella guerra franco-prussiana e allentò così il supporto al Papa. Con la sconfitta di Sedan, il 2 settembre, Napoleone III, cacciato dal popolo, perse il trono e si instaurò in Francia la terza Repubblica. Questo fatto aprì la strada al regio esercito italiano che con la celebra breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 espugnò Roma e mise fine al secolare governo del Papato. Il destino di Firenze, che iniziava a dar parvenza di capitale, dovette rassegnarsi al compimento del sogno di Cavour.
Il 3 febbraio 1871 Roma assume per la prima volta lo status di capitale, 10 anni dopo il primo atto di unità nazionale. I ragionamenti fatti per Firenze, nel 1865, si fecero anche per Roma e partirono così grandi lavori di riqualificazione della città. Diversi edifici religiosi furono espropriati per fare posto ai diversi ministeri e il Quirinale, residenza estiva del Papa, divenne il palazzo reale. Furono costruiti nuovi quartieri, nuovi ospedali e altre strutture, ma sarà poi durante l’epoca fascista che la città vedrà le più grandi trasformazioni urbanistiche.
Seppur formalmente Roma non perse mai più il ruolo di capitale, durante la seconda guerra mondiale, l’Italia si trovò in una guerra civile stretta fra la morsa dei nazisti e degli alleati. Il caos totale che regnava portò alla fuga da Roma del governo e di Casa Savoia il 9 settembre 1943, per rifugiarsi a Brindisi. Roma fu dichiarata città aperta. Il governo svolse le sue funzioni prima da Brindisi e poi da Salerno fino al 15 luglio 1944. Nel frattempo al nord Italia si era formata la Repubblica Sociale Italiana, con Mussolini a capo, e seppur Roma era considerata la capitale gli organi istituzionali trovarono sede a Salò (BS) sulle rive del lago di Garda.
Al concludersi della guerra, il governo dell’Italia liberata tornò ad insediarsi a Roma che era diventata la capitale, ora, di una Repubblica. Questo accadeva per la terza volta nella sua storia, dopo l’esperienza fra il 510 a.C. e il 27 a.C. e quella nel 1849 con Mazzini.
Nonostante tutto, nel testo originale della Costituzione redatto nel 1946, non c’è traccia di Roma capitale. Solo con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, che Roma assume ufficialmente il ruolo di Capitale d’Italia. Questo processo porterà ad istituire nel 2009 la denominazione di Roma come Roma Capitale.
Fonti Bibliografiche
- Le sei capitali – Modus – 2016
- Torino 1864, la strage impunita – Fondazione Enrico Eandi