Published On: Ven, Dic 4th, 2020

Come fanno gli archeologi a sapere dove scavare?

Quante volte abbiamo visto o letto di scavi in aree particolarmente remote o in pieno centro cittadino? Scavare nei pressi delle piramidi egizie o a Stonehenge potrebbe essere scontato, ma per conoscere in dettaglio la vita di antiche popolazioni è necessario spingersi oltre. Un archeologo lavora ricomponendo un puzzle composto da artefatti nei luoghi in cui ci sono prove di attività umana passata. Non sempre tali indizi sono così evidenti come una grande piramide; talvolta il lavoro risulta assai complesso e allora i ricercatori si aiutano attraverso laser, immagini satellitari, e altre tecniche geofisiche che rivelano antiche strutture perdute da tempo. 

LE INDAGINI PRELIMINARI

Un archeologo è un professionista che ha acquisito materie specialistiche in ambito chimico, fisico e geologico applicate alla conoscenza dei materiali e dei contesti archeologici, ma talvolta usa metodi antichi come dialogare con la gente del posto al fine di rivelare antiche conoscenze.

Il metodo di identificazione più semplice prevede l’indagine, alla quale necessita però un occhio esperto. Talvolta, quelli che sembrano mucchi di pietra nascosti dalla vegetazione, potrebbero nascondere templi e piramidi antiche, scoperti ad esempio da particolari allineamenti improbabili in natura. Le indagini preliminari prevedono documenti storici, mappe antiche, testi letterari e sopralluoghi che permettono di osservare il terreno, la flora, la fauna e le caratteristiche geologiche. 

IL TELERILEVAMENTO 

Recentemente gli archeologi si avvalgono delle nuove tecnologie, come il telerilevamento. Tale metodo consente di indagare attraverso fitte foreste, rimuovendo in modo digitale dettagli invasivi. Le scansioni ad alta risoluzione che utilizzano laser o fotografie 3D possono persino rilevare sottili ondulazioni di superfici del terreno che non sono visibili all’occhio umano.

Il telerilevamento può anche concentrarsi su aree più piccole. Le tecniche geofisiche sono comunemente utilizzate prima di scavare per scansionare il terreno dove i ricercatori sanno che i resti archeologici sono sepolti. Questi metodi non distruttivi aiutano a individuare le anomalie sepolte dai suoli circostanti distinguendo la loro densità, proprietà magnetiche o conduzione di correnti elettriche. La forma e l’allineamento di queste caratteristiche possono spesso fornire indizi su cosa siano. Ad esempio, i muri densi di un edificio risulteranno distinti dal terreno circostante. Tutto è delineato da un piano ben preciso, anche se talvolta il caso fornisce una mano ad effettuare ritrovamenti insperati. 

GEOFISICA

Metodi come la prospezione magnetica, elettrica, e sismica consentono agli archeologi di rilevare anomalie sotto la superficie terrestre senza dover scavare. Essi analizzano la topografia e la disposizione geografica di una regione per identificare possibili siti di interesse in base ai modelli di insediamento umano noti. 

Gli scienziati possono esseguire test stratigrafici e scavi di prova in luoghi dove presumibilmente potrebbero esistere strati archeologici. L’analisi stratigrafica di questi test può fornire informazioni sulla sequenza temporale degli insediamenti umani e sulla presenza di reperti archeologici.

TECNICHE DI DATAZIONE

Gli archeologi utilizzano metodi di datazione radiometrica, come la datazione al radiocarbonio, per determinare l’età approssimativa di resti organici trovati durante gli scavi. La datazione dei reperti può aiutare a stabilire cronologie e connessioni tra siti. Ed infine, l’esperienza degli archeologi nel campo gioca un ruolo cruciale. Spesso, la familiarità con i tipi di terreno, le caratteristiche geologiche e le tracce di attività umane passate può guidare la scelta dei siti da esplorare.

About the Author

- E' un giornalista scientifico, regolarmente iscritto all'albo nazionale. Si occupa di cronaca scientifica e duvulgazione dal 2011, anno di inizio del suo praticantato. Sin dal 2007 ha condotto numerosi studi sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica, alcuni dei quali in collaborazione con l'ArpaV.