Gli italiani (quasi) dimenticati di Nyeri (Kenya)
La nostra memoria è sempre troppo corta. E nel dimenticatoio ci finiscono sempre tante, troppe, storie che non dovremmo dimenticare. La nostra società e i nostri media hanno la capacità ormai di produrre notizie ed eventi come un fast food e non c’è tempo di soffermarci troppo sopra oppure di ricordare il passato. Questo crea anche un problema di perdita delle nostre radici.
A volte dimenticare certi eventi storici è anche un po’ sinonimo di ingratitudine. La seconda guerra mondiale, non è in realtà una cosa dimenticata, anche perché molte conseguenze sono ancora evidenti oggi, ma ci sono delle endo-storie che solo in pochi conoscono. Esse sono storie di umanità nella tragedia annichilente della guerra.
Pensiamo ai tanti italiani partiti per i vari scenari di guerra: Russia, Jugoslavia, Grecia e Africa. Luoghi spesso così lontani da quello che poteva essere il calore di casa. Si veniva arruolati, spesso contro voglia, e la Propaganda cercava di indorare la pillola affinché i tanti giovani italiani partissero per una guerra assurda.
Gli esiti di quella tragedia sono noti e molti nostri connazionali non fecero più rientro a casa. Dispersi nell’inverno russo, uccisi in battaglia, oppure morti nei campi di prigionia in condizioni indegne. Fra questi ci sono anche coloro che combatterono all’Amba Alagi.
La battaglia dell’Amba Alagi (1941 – conosciuta come la seconda battaglia, poichè la prima fu combattuta nel 1895 durante l’espansione coloniale), fu uno dei fronte di guerra che vide scontrarsi, durante la seconda guerra mondiale, l’esercito britannico (e i suoi alleati) contro l’esercito italiano. A guidare le nostre truppe c’era Amedeo di Savoia Duca di Aosta.
L’Amba Alagi (3.438 m.s.l.m) è una montagna che si trova nel nord dell’Etiopia. Qui si asserragliarono gli uomini del Duca per resistere agli attacchi inglesi e sbarrargli la strada. Da questo monte, che era la chiave per la conquista dell’Etiopia, i britannici furono respinti più volte, nonostante le disparità in campo fra i due eserciti.
Ad un certo punto, le truppe italiane accerchiate e con scarsi approvvigionamenti, furono costrette ad una resa. Il Duca d’Aosta, prima di arrendersi, invitò i soldati ascari (quelli di origine etiope) di tornare ai propri villaggi, ma solo in pochi decisero di farlo e i più restarono in forza all’esercito italiano. Vista la strenue resistenza, gli inglesi, alla resa degli italiani gli concessero l’onore delle armi (riconoscimento da parte degli avversari del valore dei vinti).
A quel punto i soldati italiani prigionieri furono trasferiti in Kenya nei campi di prigionia della colonia britannica. Potete immaginare le condizioni insalubri di questi campi. Il Duca di Aosta, che poteva essere portato in Inghilterra come prigioniero, decise invece di restare a fianco dei suoi soldati in Africa.
Le condizioni igienico-sanitarie non erano certo delle migliori così il Duca di Aosta iniziò a mostrare febbre alta e in poco tempo gli fu diagnosticata sia la malaria che la tubercolosi. Così in breve, così come tanti altri, il Duca non superò quelle difficoltà e perì restando però insieme a tutti gli altri. Al termine del conflitto bellico mondiale quasi 700 soldati non fecero più ritorno a casa perché morti nei campi di prigionia kenioti.
Oggi a Nyeri, 140 km a Nord di Nairobi ai piedi del Monte Kenya (5.199 mslm), insieme al Duca riposano 676 soldati italiani (di cui alcuni ascari). Qui, in mezzo alla campagna e lontani da Malindi e dalle località più glam della costa, c’è un Sacrario costruito negli anni ’50 dal governo italiano per dare degna sepoltura a questi soldati. In pochi sanno dove si trovi e non è così facile scovarlo. Fortunatamente ogni anno l’Ambasciata Italiana del Kenya organizza una giornata in ricordo dei caduti presso il Sacrario.
Negli anni scorsi grazie al supporto di Joseph Mutigi, custode del Sacrario, abbiamo aiutato diverse persone a scoprire dove fossero sepolti i loro antenati caduti nei campi di prigionia in Africa. E speriamo che anche questo articolo possa contribuire a non spegnere le luci su questi nostri connazionali e magari stuzzicare la deviazione per qualcuno che visiterà il Kenya.
Di seguito un video realizzato con il drone presso il Sacrario di Nyeri: